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Sander L. Gilman – La strana storia dell’obesità – 2011

Sander L. Gilman
Bologna, il Mulino, 200 pp., Euro 16,00 (ed. or. Cambridge, 2008)

Anno di pubblicazione: 2011

Oggi essere obesi non è solo una malattia, ma anche una colpa. Quel bel doppiomento che nel XVI secolo si considerava segno di bellezza rivela invece cattiva alimentazione e presumibile basso livello sociale. Ma chi vuole essere riconosciuto come incapace di dominarsi, proletario ed esteticamente fuori moda? Pochi, se non nessuno e da ciò la fortuna dei libri sulle diete o dei prodotti che promettono di bruciare calorie. Oggi vengono promosse campagne di educazione dietetica anche a valenza politica. Oggi occupano le prime posizioni nelle vendite dei libri i manuali per dimagrire, ma a poca distanza da libri di ricette. Oggi si parla moltissimo di cibo e si raccolgono ricette di ogni paese mentre si cucina sempre meno in casa. Insomma, l’ambito di interesse del libro è attualissimo e fitto di contraddizioni.Se si vuol ragionare sui tre termini del titolo, partiamo dal secondo, «storia», per dire che in Italia la diffusione dell’obesità è un fatto recente, come lo è il benessere. Non basta riprendere in mano i ricettari del tempo di guerra o magnificare le diete povere: non siamo più poveri e l’offerta di cibo e la cultura del cibo sono del tutto cambiate. Ma la storia dell’obesità è anche storia culturale, utile non solo per sapere. Veniamo ora al primo termine, «strana», e alle contraddizioni che questa storia si porta dietro, a partire dal conflitto tra il desiderio di cibo e quello di mantenersi a dieta. È strano anche l’intreccio fra elementi medici e aspetti morali: mentre i genetisti sostengono che è tutta questione di ereditarietà, molti ritengono che sia faccenda di mancanza di volontà: dunque è malattia o è colpa? Chi propende per la seconda ipotesi arriva a proporre una tassa sul grasso! Quanto al termine «obesità», esso non è poi di così facile comprensione e qui serve il legame con la storia. C’è chi ha pensato all’obesità come a una malattia infettiva, tanto che quando una persona aumenta di peso anche gli amici tendono ad ingrassare (p. 40). Ma allora diventa incomprensibile l’aggressività con la quale si definiscono brutte, stupide, sciatte o pigre le persone che ne sono affette. Gilman ricostruisce la vicenda della rappresentazione letteraria del ragazzo grasso come stupido a partire dal romanzo di Dickens Il circolo Pickwick. Obeso è diverso da paffuto e l’immagine del borghese paffuto, non grasso, caratterizza invece il profilo di una persona attiva e amabile. Il ragazzo grasso di Dickens oggetto di disprezzo si collega strettamente alla vergogna del corpo grasso testimoniata da Banting nella sua Letter on Corpulence, resoconto di come un impresario di pompe funebri avesse sconfitto la pancia. La sua storia indica un percorso catartico dall’idea di malattia a quella della sua curabilità.Dal libro si ricava materia per sostenere che la storia culturale dell’obesità (da Falstaff alla rappresentazione nella cultura ebraica) può anche essere un’arma per combatterla. Il volume si offre anche come strumento per mangiare meno o per mangiare meglio. Conoscere e capire può aiutare a risolvere problemi e il libro colto e intelligente di Gilman la sua parte può farla.

Maria Giuseppina Muzzarelli