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Sara Pesce – Memoria e immaginario. La seconda guerra mondiale nel cinema italiano, – 2008

Sara Pesce
Recco, Le Mani, XVI-237 pp., euro 16,00

Anno di pubblicazione: 2008

Il cinema come strumento di costruzione della memoria culturale, i caratteri del film di guerra, le peculiarità italiane, l’attuale crisi della fattualità e, quindi, il rapporto complesso tra fiction e realtà, i processi di frantumazione e globalizzazione, il trend storico del periodo che va dal 1945 al 1989 non solo per quanto attiene alle vicende sociali e politiche italiane ma anche per le modificazioni tecnologiche che incidono sull’oggetto «cinema»: sono molti i piani lungo i quali si dipana l’analisi dell’a.Se il film di guerra si definisce come «la raffigurazione di eserciti contrapposti, come la mostra di battaglie, strategie e tecnologie militari, come racconto che riflette sul destino di molti e offre un immaginario nazionale, la discontinuità di questo tipo di opere nell’orizzonte italiano è indicativa della scarsità di consenso su questo punto dell’auto-rappresentazione collettiva». È la stessa storia italiana a impedire questo tipo di racconto «nazionale» e una verifica si ha nel nostro debole filone del combat (pp. 4 ss.; 27 ss.; 112 ss.).Assumendo sotto l’etichetta di «cinema di guerra» anche il «cinema sulla Resistenza» – per una parte del quale si dovrebbe forse parlare di «cinema sulla guerra» – l’a. individua tre fasi. La prima è quella del neorealismo, la seconda quella di inizi anni ’60, la terza quella che si diparte da inizi anni ’70. Con sfilacciature e contraddizioni all’interno di ciascuna fase. Per l’analisi del cinema italiano, va detto, basilare è l’ancoraggio ai giudizi dei suoi maggiori storici, in primis Brunetta e Sorlin, ma anche a quelli di Casadio per il cinema di guerra.Per il neorealismo è nella Resistenza che si situa la rinascita nazionale, la quale tuttavia sembra presupporre la rimozione della sconfitta e del trauma dell’8 settembre 1943, nonché del fascismo. Sarà il cinema della prima metà degli anni ’60 a intraprendere un viaggio più aderente alla realtà del passato, mosso dal desiderio di un confronto più serrato con la storia e del superamento dei silenzi e degli stereotipi degli anni della guerra fredda. Tutti a casa, Il Federale, L’oro di Roma, Le quattro giornate di Napoli, La lunga notte del ’43 sono alcuni dei titoli più rappresentativi di questa stagione che si interrompe a metà del decennio e resta, nel suo insieme, insuperata (p. 155). Come il neorealismo fu seguito da un cinema combat nazionalista se non filofascista così il cinema della seconda fase fu seguito da una messe di film bellici «spazzatura» che riaffermavano valori tradizionali se non addirittura fascisti (pp. 92 ss. e 168-172).La terza fase è più sfaccettata e l’a. coglie le diverse presenze e tendenze: la nuova generazione di cineasti, il clima del lungo ’68, il mito della Resistenza «rossa», la società del benessere, l’influenza della tv e dei suoi documentari storici, il revisionismo storiografico con la rivalutazione del fascismo e la denigrazione della Resistenza. In generale, alla caduta di una tensione conoscitiva verso le tragedie nazionali si affianca l’affievolirsi del tema delle responsabilità in quella che qui è definita una «parabola discendente».

Dianella Gagliani