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Sergio Luzzatto – La crisi dell’antifascismo – 2004

Sergio Luzzatto
Torino, Einaudi, pp. 105, euro 7,00

Anno di pubblicazione: 2004

Un piccolo libro di battaglia. Uno strumento per non presentarsi disarmati e dimissionari alla guerra, anzi alla guerra di guerriglia che si combatte ogni giorno nei giornali e in televisione per le spoglie del passato e l’egemonia nel discorso pubblico. Lucido chirurgo della memoria che gli individui, i gruppi, i popoli si portano appresso per darsi ragione di sé, cercheremo preferibilmente in altre delle ormai numerose e belle opere di Luzzatto le sfumature che in questo caso potevano risultare fuori luogo. Sotto le esibite fattezze di una dichiarazione di ?crisi dell’antifascismo? (e in qualche discussione Luzzatto ha confessato che il suo librino avrebbe potuto darsi un titolo ancor più lugubre e micidiale: come La morte dell’antifascismo) si mette in circolazione invece una energica riconferma di una non obsoleta diversità delle memorie. Facit indignatio versus.
Queste sono pagine nate dallo scandalo intellettuale. Luzzatto, beninteso, concede molto (p. es. in termini di anticomunismo) e capisce tutto ciò che v’è da capire: che gli anni passano, le file dei partigiani si diradano, nuove disincantate gioventù si susseguono; che il Partito d’Azione si è sciolto da oltre mezzo secolo; che c’è stato l’89 e anche la prima linea del fronte antifascista, i comunisti, si mostrano spesso in fuga da se stessi. A queste fisiologiche, ma anche politiche spinte verso l’esaurimento, e alle sirene di ciò che ironicamente denomina il ?Nuovo Conciliatore?, Luzzatto contrappone un Elogio della memoria divisa: quarto dei venti capitoletti e spirito che in generale lo muove; e una Critica della storia ?bipartizan’ (cap. 5). Riconoscere divise le memorie di chi ha pensato e realizzato il fascismo, di chi vi si è opposto e di chi è restato a guardare, senza salomoniche assoluzioni, neppur se pietose e beneintenzionate in articulo mortis, significa ? rileva l’autore ? non accedere a quella ?deliberata confusione tra storia e memoria? su cui poggiano invece il successo e il rischio dei romanzi storici di un Giampaolo Pansa (p. 26). ?I buonisti nostrani sono cattivi maestri? (p. 25). Sono invece la diversità e divisione delle memorie, che vanno comprese senza le forzature delle politiche della memoria, mentre va riconosciuta l’unicità della storia nazionale, la nostra conflittuale e terribile storia. Non per questo l’intervento pratica distinguo pacati fra i due piani: altro è il dover essere delle distinzioni, di cui l’autore a differenza di altri fa gran conto, altro è l’essere. Ci sono pagine potenti (pp. 22-5) sulla famiglia Luzzatto, non in chiave di lamentazione autobiografica, ma di manifestazione esemplare della intrinseca drammaticità del vissuto collettivo nazionale, tra fascismo, antifascismo, postfascismo e post-antifascismo: suo nonno Aldo Luzzatto, professore di medicina e aiuto proprio di Nicola Pende, il teorico del razzismo antisemita che lo diversifica e esclude, per sempre, dall’università; e, per contro, uno dei suoi maestri alla Normale, Roberto Vivarelli. È anche per questo, per un bisogno di veridicità storica, e non solo per ciò che i più accomodanti potrebbero scambiare per le aspre impuntature moraleggianti di un neoazionista fuori tempo massimo, che questo duro e esigente intervento si spiega.

Mario Isnenghi