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Sergio Roedner – L’orologio di Armin. L’Europa, due guerre, una famiglia – 2002

Sergio Roedner
Milano, Christian Marinotti edizioni, pp. 230, euro 17,00

Anno di pubblicazione: 2002

Di memorie familiari tragicamente segnate dalla Shoah sono ormai folte le biblioteche, ma il libro di Roedner ? asciutto e persino dimesso nella resa narrativa ? declina a p. 202 la sua particolarità: ?[?] i Rosenbaum [cognome originario] sono ebrei per caso, e da circa 150 anni cercano invano di emanciparsi da questo retaggio così impegnativo?. L’orologio è quello che l’autore ha ereditato dal nonno Armin, ebreo apostata a inizio Novecento: ma, come è noto, la persecuzione nazista non si curò di conversioni e abiure.
La storia dei Rosenbaum nasce all’inizio dell’Ottocento, entro un moto centripeto che conduce i più intraprendenti dalle periferie dell’Impero a Vienna, in una felix Austria per la quale Roedner cita due volte la stessa frase di Franz Werfel (pp. 24 e 30): ?una meravigliosa patria [?] senza riguardo a sangue e confessione, all’origine e alla meta dei suoi figli?. Nel nuovo secolo di Lüger, della finis Austriae e poi di Hitler le cose cambiano, come provano la scelta di Armin e poi la sorte dei suoi figli, padre e zii dell’autore, variamente cristiani anche se spesso tradizionalisti nelle scelte coniugali. Il loro destino si modulerà, in un’Europa progressivamente nazificata, a seconda della residenza imposta da lavoro e famiglia. Per chi è rimasto in Austria, dopo l’Anschluss non vi è che il lager o la fuga all’estero; per chi si è stabilito in Italia, le ambigue possibilità offerte dal ?rifugio precario? tracciano un percorso tortuoso che va dall’internamento coatto al ricovero ospedaliero (così sarà per il padre di Sergio, gravemente invalido: nato ebreo, poi protestante, si era infine convertito al cattolicesimo), fino a una speranza di scampo bruscamente interrotta dalla doppia fucilazione, a Forlì, degli zii Bernardo ed Elena. I due, cattolici, compaiono tuttavia nel memoriale dell’eccidio come ebrei; e il retaggio ebraico inteso come tragico destino era variamente apparso nelle pagine di questa memoria familiare: lo zio Leo aveva appreso sul treno per Dachau come l’unica risposta adeguata alla domanda: ?chi sei?? fosse: ?uno sporco maiale ebreo? (p. 106).
Pietas familiare e ritorno alle origini hanno indotto l’autore a riannodare i fili di un complesso documentario che allude al ?baule? dal quale tradizionalmente saltano fuori le carte del romanzo storico ottocentesco, ma al tempo stesso risente pienamente della modernità: alle lettere e ai diari si uniscono foto (descritte ma purtroppo non riprodotte, ad eccezione di quella in copertina) e testimonianze rese possibili dalla posta elettronica, oltre che dalla velocità dei viaggi aerei. E non a caso si è parlato di romanzo: non solo per i risvolti talvolta sorprendenti della saga pre-Shoah (una prozia nota cantante e segretaria di Katharina Schratt, l’amica di Francesco Giuseppe; un giovane Enrico Mattei che corteggia la madre di Sergio), ma anche perché il fine dell’autore ? che pure produce in fondo al libro un’ampia bibliografia anche storiografica ? è soprattutto quello di trasmettere la memoria attraverso il racconto.

Paola Magnarelli