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Silvana Patriarca – Italianità. La costruzione del carattere nazionale – 2010

Silvana Patriarca
Roma-Bari, Laterza, 220 pp., Euro 22,00

Anno di pubblicazione: 2010

Un libro transatlantico. Appare in traduzione italiana prima che in inglese. L’autrice è italiana, e il libro è molto americano. La ricca messe di testi italiani è letta sullo sfondo di una trama bibliografica anglosassone. Lo sguardo è esterno, tipico della tradizione pedagogica anglosassone, ma anche dell’impegno politico italiano, che culmina in un antiberlusconismo di maniera. Il titolo originale del libro, Italian vices. Nation and Character from the Risorgimento to the Republic, ne descrive bene il contenuto, che cataloga i mille discorsi appunto sui vizi, sui difetti, sulle pecche, sui limiti degli italiani come loro tratto specifico. Obiettivo dell’a. è tracciare la genealogia delle idee attraverso testi politici, ma la cornice nazionale soffoca quella genealogia entro la breve cronologia otto-novecentesca e la rende, più che una genealogia, un martellante e ripetitivo catalogo: ozio, indolenza, dolce far niente, effeminatezza, cicisbeismo, subordinazione, nessuna virtù militare e scarsa bellicosità, fiacchezza morale, dissimulazione, malizia, doppiezza, ambiguità, lassismo morale, doppiogiochismo, vigliaccheria, pigrizia intellettuale, opportunismo, ipocrisia, indolenza, fino a un Mussolini descritto fuori d’Italia come suonatore di mandolino col grosso sedere (p. 147), «gesticolante, chiacchierone, superficiale, carnevalesco» (p. 148). Inutile dire che questi stereotipi contribuiscono all’«invenzione del Mezzogiorno», e nel 1940 Mussolini dirà che «la guerra farà dei napoletani un popolo nordico» (p.161). Il carattere e l’identità degli italiani si intendono come concetti distinti: il primo «tende a riferirsi alle disposizioni “oggettive”, consolidate (un insieme di particolari tratti morali e mentali) di una popolazione» (p. IX), mentre l’identità indicherebbe una percezione di sé che può anche «implicare un senso di missione e di proiezione nel mondo». Ma poiché assunto dell’a., anch’esso ormai canonico, è che il carattere di un popolo consista nei discorsi su di esso, ecco che identità e carattere spesso si intrecciano come contenitori discorsivi del medesimo materiale. L’accento va allora spostato sull’aggettivo nazionale e in particolare sulla costruzione (così nel titolo italiano, che colloca il libro nel solco di un già battutissimo sentiero). In effetti, l’a. conviene che fu il processo di nazionalizzazione a rendere rilevante la tematica del carattere. Forse il gioco tra ciò che si pensa che gli italiani siano e ciò che si vorrebbe che fossero è il fulcro di maggior interesse. Giacché la deprecazione – che a volte è piuttosto disperazione – stigmatizza una resa, un abbandono che alludendo a una grandezza passata e poi a una decadenza, indica un riscatto, una redenzione. Non sappiamo se l’azione stimolante-pedagogica, sempre insistita (ginnastica, il militarismo, l’insistenza sull’etica) ha avuto effetto sul carattere degli italiani, o se ha creato uno standard retorico-morale molto elevato che ha generato delusioni cocenti. Così attraverso il fascismo: il disprezzo per ciò che gli italiani sono è accompagnato dall’esaltazione di come li si sta plasmando, e poi dalla rancorosa delusione del fallimento.

Raffaele Romanelli