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Simone Attilio Bellezza – Il tridente e la svastica. L’occupazione nazista in Ucraina orientale – 2010

Simone Attilio Bellezza
Milano, FrancoAngeli, 243 pp., Euro 27,00

Anno di pubblicazione: 2010

La discussione sul fascismo ucraino durante la seconda guerra mondiale è tema ancora oggi d’attualità. Nel dibattito si evidenzia purtroppo una tendenziale incapacità, da parte ucraina, a tracciare una linea netta fra storiografia accademica e mitopoiesi propagandistica. Non ne risultano immuni nemmeno riviste come l’ucraina «Krytyka» che, ad esempio, nel numero 34 del 2010 giustappone acriticamente lavori seri e documentati di JohnPaul Himka e Timothy Snyder a prese di posizione aprioristicamente apologetiche dell’Oun di Bandera da parte di pubblicisti tendenziosi (http://hsozkult.geschichte.hu-berlin.de/rezensionen/2011-2-212).A fronte di ciò il volume di Bellezza evidenzia innanzitutto una solidissima base documentaria che, partendo dalla classica introduzione alle fonti di Karel Cornelis Berkhoff del 1997, arriva a comprendere decine di fondi archivistici di Berlino, Kiev, Mosca, fino a giungere agli archivi locali di Dnepropetrovsk e della regione dello Zaporož’e, il che è sicuramente una garanzia di rigore metodologico; partendo da qui, l’a. ha scelto di studiare un’area scarsamente indagata, quella del Generalbezirk Dnjepropetrowsk, e di farlo secondo criteri assimilabili a quelli della microstoria.Per tracciare un profilo dei collaborazionisti, Bellezza si accosta in maniera doverosamente critica alle fonti sovietiche. Ne estrapola alcuni casi personali, rappresentativi di un fenomeno diffuso capillarmente non soltanto in Ucraina: arrivisti che si misero al soldo ora dei sovietici ora dei nazisti, pur di continuare l’ascesa sociale nella comunità locale. L’a. induce anche a ragionare intorno alle figure Volksdeutscher, indigeni «etnicamente tedeschi» che, lungi dal differenziarsi per atteggiamento soggettivo rispetto al resto dei locali, vennero comunque strumentalizzati dalle autorità tedesche all’insegna del divide et impera.Sottolineando che il numero di campi per non-ebrei era addirittura superiore a quello dei ghetti e dei campi per ebrei, l’a. non mira affatto ad equiparare la Shoah ad altre persecuzioni, bensì pone giustamente l’accento su un fenomeno che, se era diffuso ovunque nel Reich, nei territori occupati assunse i connotati di un sistematico sfruttamento economico tramite lavoro coatto. Il tutto a fronte di un’inerzia conclamata di coloro che non erano stati coinvolti, a vantaggio o detrimento personale, nel sistema di potere nazista.Se nel volume s’intendesse trovare un difetto, questo risiederebbe nell’omissione di un inquadramento del caso di studio nel panorama più generale dell’Ucraina del tempo. La tesi di fondo dell’a., per cui proprio la passività della popolazione locale fece sì che l’unica forma di lotta organizzata ai nazisti fosse rappresentata dai partigiani sovietici, con tutte le conseguenze che ciò ebbe dopo la liberazione, non tiene conto della complessità che si verificò invece ad Occidente, dove risultarono assai più variegate sia l’interazione delle due anime dell’Oun (Bandera e Melnyk) con i nazisti sia, dall’altra parte, il «patto col diavolo» fra i partigiani polacchi e gli istrebitelnye batal’ony del sovietico Nkvd.

Davide Artico