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Staging Memory. Myth, Symbolism and Identity in Postcolonial Italy and Libya

Stefania Del Monte
Frankfurt am Main, Peter Lang, 133 pp., £ 22,00

Anno di pubblicazione: 2015

Il volume affronta il tema della formazione della memoria coloniale in Italia e Libia
e del suo utilizzo pubblico. Nonostante la sua sinteticità l’a. riesce a individuare e analizzare
alcuni nodi rilevanti di un processo lungo e complesso. Partendo da una chiara
definizione di cosa l’a. intende per staging memory e di come essa sia presente nella storia
postcoloniale di entrambi i paesi analizzati, il volume si inserisce in maniera efficace in un
dibattito storiografico che ormai si può considerare in una fase avanzata.
In questo senso il lavoro sembra trovare nella comparazione il suo principale elemento
di originalità, riuscendo a far dialogare gli studi sul postcolonialismo italiano con quelli
sulla Libia. Lo scarso utilizzo di fonti primarie sembra bilanciato dal ricorso frequente a
un’ampia e puntuale letteratura di riferimento.
Nel primo capitolo il volume descrive il processo di costruzione di una memoria
coloniale nell’Italia postcoloniale; a tal fine l’a. analizza alcuni elementi della produzione
culturale del periodo tra cui il romanzo di Mario Tobino, Il deserto della Libia, pubblicato
nel 1952, dal quale è stato tratto il film di Monicelli Le rose del deserto (2006).
L’analisi della produzione culturale viene accompagnata da una sintetica ricostruzione
storica dell’Italia nel secondo dopoguerra.
Nel percorso di individuazione di una staged memory connessa al colonialismo italiano
Del Monte fa ampio riferimento al lavoro dello storico Angelo Del Boca, focalizzando
la sua attenzione sulla nascita e lo sviluppo del mito dell’«italiano, brava gente». L’a.
collega la nascita del mito al tentativo politico, nell’Italia repubblicana, di costruire una
narrazione positiva del passato coloniale.
Nonostante Del Monte faccia riferimento alla contrapposizione tra valori «buoni» e
«cattivi» presente nell’elaborazione del mito dell’«italiano, brava gente», la sua analisi rimane
confinata allo specifico della memoria coloniale, evitando di inquadrare in maniera
più ampia il campo d’azione di quello stesso mito che, secondo Filippo Focardi, pervase
la narrazione del carattere nazionale nell’Italia repubblicana.
Il secondo capitolo descrive il processo di formazione di una staged memory nella Libia
postcoloniale. La riflessione parte dall’analisi del Libro Verde di Gheddafi; secondo l’a.
il percorso libico di costruzione di un’identità postcoloniale differisce da quello di molte
altre società postcoloniali, nelle quali i media, le arti e l’istruzione ricoprirono un ruolo
fondamentale. L’a. individua i motivi di tale differenza nell’atteggiamento di sospetto
con il quale le istituzioni in Libia guardarono alle forme d’arte e nello stretto controllo
governativo sui media.
Nonostante la mancanza di un apparato documentario teso a illuminare le politiche
della memoria in atto nei due paesi renda difficoltoso seguire il percorso istituzionale della
staged memory, il volume riesce nell’individuazione e nell’analisi di alcuni passaggi chiave
del percorso di costruzione della memoria del passato coloniale in Italia e Libia.

Alessandro Pes