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Stefania Dazzetti – L’autonomia delle comunità ebraiche italiane nel Novecento. Leggi, intese, statuti, regolamenti – 2008

Stefania Dazzetti
Torino, Giappichelli, XXI-299 pp., euro 37,00

Anno di pubblicazione: 2008

Destinato in apparenza ad un pubblico di specialisti, storici del diritto e, più in particolare, del diritto ecclesiastico, il volume illustra con lucidità e ricchezza di riferimenti bibliografici-archivistici, l’evoluzione giuridica che le comunità ebraiche italiane hanno conosciuto dalla fine dell’800. Oltre un secolo di storia è ripercorso: dall’eterogeneità che caratterizzava gli assetti post-unitari delle varie comunità del paese (corpi morali con potere di imposizione tributaria, oppure associazioni volontarie, dotate o meno di personalità giuridica), si arrivò negli anni del fascismo ad un quadro normativo unitario con l’emanazione del decreto n. 1731 del 30 ottobre 1930, frutto di un’impostazione definita di «giurisdizionalismo consensuale» (p. 95). Nato anche per tentare di arginare il procedere dell’integrazione e secolarizzazione della minoranza, il decreto legava l’appartenenza all’ebraismo con quella all’istituzione comunitaria: chi non desiderasse essere iscritto alla propria comunità di riferimento perdeva, contemporaneamente, anche lo status di ebreo. Si stabiliva così «un’appartenenza di diritto che, con il favore dello Stato, sancì la prevalenza dei diritti del gruppo su quelli del singolo» (p. XV).La legge ebbe peraltro lunga vita: fu abrogata solo nel 1989, anno di emanazione del testo attuativo dell’Intesa stipulata tra l’Unione delle Comunità ebraiche italiane e lo Stato nel 1987 che cancellò la norma dell’appartenenza di diritto alla comunità ebraica per sostituirla con il principio, più consono al dettato costituzionale, «del diritto all’appartenenza».L’a. discute, e di fatto capovolge, tesi storiografiche diffuse che vedevano nel decreto del 1930 esclusivamente una dimostrazione della volontà totalitaria del fascismo ? estesa a disciplinare la vita delle minoranze religiose del paese ? e vi leggevano inoltre un deterministico prodromo, giuridico-ideologico, della legislazione antisemita del 1938. Dazzetti mostra, al contrario, come quella legge fu principalmente il frutto di tensioni e motivazioni prevalentemente, se non esclusivamente, interne all’ebraismo italiano. Anche la scelta di mantenere in vigore tale normativa nel dopoguerra fu una decisione proveniente dal mondo ebraico che, pur nella diversità del contesto repubblicano (quell’Italia che aveva pur sempre inserito i Patti Lateranensi all’interno della Costituzione) la reputò ancora la più adeguata forma di organizzazione e tutela.Merito complessivo del volume è soprattutto quello di aver restituito alla minoranza ebraica italiana ? o, per meglio dire, alle sue élites dirigenziali ? un ruolo non unicamente passivo nello svolgimento di alcune delle proprie decisive vicende interne, mettendo così in evidenza il carattere non sempre eteronomo delle svolte che li riguardarono. La rimodulazione della struttura organizzativa dell’ebraismo nazionale, tanto nel periodo fascista quanto in quello repubblicano, fu quindi «condizionata in modo considerevole dalle dinamiche interne alla confessione, dall’incessante tensione dialettica tra spinte innovative e tendenze conservatrici» (p. XII) presenti al suo interno.

Ilaria Pavan