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Stefano Bellucci – Storia delle guerre africane. Dalla fine del colonialismo al neoliberalismo globale – 2006

Stefano Bellucci
Roma, Carocci, 157 pp., euro 14,30

Anno di pubblicazione: 2006

L’agile volumetto di Bellucci costituisce un’utile guida a un tema, quello dei conflitti armati e delle guerre civili nell’Africa subsahariana, che ha segnato le cronache politiche del continente. Adottando un’ampia prospettiva storica, l’autore articola il suo lavoro in cinque capitoli dedicati rispettivamente allo Stato postcoloniale, alla definizione delle guerre africane, ai due casi maggiori del Congo (ex Zaire) e del Corno d’Africa, e infine alle conseguenze e agli impatti della globalizzazione sulla natura dei conflitti armati. Il volume è completato da una cronologia e da una bibliografia che include la più rilevante letteratura internazionale (ormai vastissima).Fin dall’introduzione l’autore rileva che l’Africa costituisce il continente che ha conosciuto in epoca contemporanea il maggior numero di conflitti; più tardi (p. 42) mette in evidenza la relativa minore incidenza (rispetto ad altre aree, come l’Asia, il Medio Oriente e la stessa Europa) delle guerre legate a rivendicazioni secessioniste, contrariamente al luogo comune che vede l’Africa come continuamente sull’orlo della disintegrazione e della frammentazione. Queste due constatazioni costituiscono le domande centrali attorno alle quali ruota gran parte dell’analisi condotta nel volume, che si potrebbe riassumere nel tentativo di delineare le relazioni tra la produzione di conflitto armato (nella tipologia principale di guerra civile) e la difficile dialettica tra la «persistenza» dello Stato-nazione postcoloniale e la sua crisi. Da questo punto di vista, il lavoro riesce a fornire un quadro abbastanza completo, sia pure sintetico, delle maggiori componenti attuali (ossia dell’epoca post-bipolare e della globalizzazione) della conflittualità armata e della sua natura in evoluzione, trattando temi che sono stati al centro del dibattito (e delle controversie interpretative) nell’ultimo decennio, quali la questione delle risorse (le cosiddette resource wars), i processi di «criminalizzazione» dei conflitti, il fenomeno della «privatizzazione» della guerra e della sicurezza. In questa trattazione risulta tuttavia non del tutto convincente l’analisi delle relazioni tra conflittualità ed esclusione sociale, qui ricondotta soprattutto alla tematica dell’etnicismo, mentre poca attenzione è rivolta, se non nei termini un po’ troppo generici del sottosviluppo e della povertà, a cruciali conflitti e tensioni sociali (ad esempio quello sulla terra) o segmenti sociali strategici come i giovani o le donne.Un’ultima annotazione riguarda il poco spazio riservato alle politiche di prevenzione e gestione dei conflitti elaborate dai paesi africani (su scala continentale o attraverso gli organismi regionali). Sull’efficacia di tali politiche si potrebbe ovviamente discutere a lungo, ma esse hanno comunque conosciuto un’interessante evoluzione dopo la fine della guerra fredda e, anche da un punto di vista metodologico, il nuovo «protagonismo» africano su questo terreno avrebbe certamente meritato un maggiore approfondimento.

M. Cristina Ercolessi