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Stefano Morosini – Sulle vette della patria. Politica, guerra e nazione nel Club Alpino Italiano (1863-1922) – 2009

Stefano Morosini
prefazione di Alessandro Pastore, Milano, FrancoAngeli, 259 pp., Euro 27,00

Anno di pubblicazione: 2009

La ricerca di questo giovane studioso si configura come originale contributo ad una storia sociale dei fenomeni politici e si colloca in un solco di analisi e interpretazioni via via sempre più dissodato anche in Italia negli ultimi anni. Il libro indaga in particolare il nesso fra l’esperienza individuale e collettiva legata al loisir alpinistico, tra fine ‘800 e inizio ‘900, e i processi di politicizzazione e di formazione dell’identità culturale nazionale delle classi dirigenti italiane. La cura prestata al dibattito internazionale specialistico, per quanto sintetica, è un pregio di questo lavoro e permette di collocare il caso italiano a confronto con altre esperienze europee, in particolare dell’area tedesca.La ricerca, a differenza di altre anche recenti, può godere inoltre di una ricchezza documentaria inedita e fortunosamente ritrovata, come narrato dall’a. stesso, cioè i verbali originali del Consiglio direttivo del Cai a partire dalla sua fondazione nel 1863. Questa fonte, accanto ad altre, permette all’a. di ricostruire con finezza un duplice processo strettamente collegato e convergente: da una parte, come le strutture associative alpinistiche siano un veicolo diffusivo di modelli culturali e ideologici nazionali e poi sempre più nazionalistici; dall’altra, come esse siano contemporaneamente organizzazioni che costruiscono attivamente questi stessi modelli, ben al di là dell’apoliticità associativa rivendicata in teoria. Il libro riesce a mostrare pienamente questa dinamica, fino a incrociare il fascismo nascente, per cui lo spirito d’associazione proprio dell’epoca si fa portatore di intenti di pedagogia civile e sociale nazionalistica sia fra i gruppi dirigenti sia verso le classi subalterne, anche attraverso l’azione istituzionale.Se, nel passaggio di secolo, la pratica alpinistica afferma un «modello culturale urbano egemone» (p. 24), essa si struttura grazie al prestigio e al potere nazionale che le classi dirigenti fanno passare anche attraverso questa particolare forma di passatempo, prima scientifico, poi esplorativo-dilettantistico, infine sempre più sportivo e legato alle prestazioni. Per l’a. la Grande guerra (in particolare la «Guerra bianca» di montagna) è un potentissimo fattore moltiplicatore, attraverso una profonda «frattura generazionale» nelle aspirazioni e nei comportamenti dei praticanti (pp. 123-124). Studiando e verificando attraverso il fenomeno alpinistico la dialettica fra interventismo democratico e nazionalistico e utilizzando un ricco apparato di riferimenti, l’a. si concentra sull’evoluzione dell’irredentismo e sul ruolo svolto dalle associazioni alpinistiche nelle terre di frontiera. In particolare, è molto interessante la parte dedicata al Cai e alle sue sezioni quali attori – a partire dalla pratica alpinistica – nella determinazione sempre più imperialistica della geografia politica dei confini settentrionali, in competizione con le associazioni di lingua tedesca, attorno alla toponomastica, alle strategie linguistiche e identitarie, al controllo dei rifugi alpini quali presidi culturali del territorio.

Pietro Causarano