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Stefano Musso (a cura di) – Operai – 2006

Stefano Musso (a cura di)
Torino, Rosenberg & Sellier, 276 pp., euro 23,00

Anno di pubblicazione: 2006

Il volume si colloca, da una parte, nell’ambito di quella riflessione storiografica sulla natura dell’industrializzazione italiana, che oltre a metterne in luce le fragilità strutturali si interroga anche sulle sue dinamiche specifiche, come, in questo caso, la sovrabbondanza di forza lavoro non qualificata. Dall’altra, esso costituisce una sintesi della storiografia disponibile sul lavoro operaio nello sviluppo economico italiano. Come tutte le buone sintesi, anche questa, oltre a fare il punto sulla ricerca esistente, contribuisce a evidenziarne le lacune. Tra quelle più vistose, il fatto che gli studi sul fascismo e sullo snodo seconda guerra mondiale-dopoguerra siano sostanzialmente fermi alle ricerche degli anni Settanta-Ottanta sulla questione della «gestione politica» della manodopera, mentre si avverte quanto manchi una storia sociale dell’impresa negli anni del miracolo economico. Dal lungo saggio iniziale del curatore (Gli operai, tra centro e periferia) emerge che gli storici caratteri di pluriattività, legami città-campagna, instabilità lavorativa, tradizioni artigianali, che descrivono una classe operaia «anomala» rispetto ad altri «modelli» nazionali, non vadano letti tanto in senso cronologico (di tenaci permanenze pre-industriali), ma come strutturali alle tipologie dell’industrializzazione italiana e alla variabile natura politica della costruzione del consenso in diversi momenti storici. Ciò vale a maggior ragione per il lavoro operaio delle donne, argomento particolarmente trascurato dalla storiografia italiana al quale in questo volume è invece dedicato ampio spazio, dimostrando che una maggiore sensibilità alla dimensione di genere consentirebbe di cominciare a colmare molte di quelle lacune di cui si diceva sopra. Gloria Nemec (Lavorare sotto tutela. Operaie nelle fabbriche della prima metà del Novecento) sottolinea ad esempio come è in epoca fascista che si apre la grande stagione «demografica» del lavoro delle donne sposate, che caratterizzerà il secondo dopoguerra; mentre l’attenzione al ruolo della famiglia nelle dinamiche del lavoro industriale e nella formazione di culture del lavoro e di identità lavorative e sociali consente a Anna Di Gianantonio (Calze di seta o scarpe spaiate? Condizioni di vita delle operaie in fabbrica dal secondo dopoguerra a oggi) di formulare interessanti osservazioni sulla stessa natura strutturale della trasformazione degli anni Settanta. La storiografia sul lavoro nell’Italia repubblicana ha prestato quasi esclusivamente interesse alla classe operaia maschile «fordista» e alla conflittualità sociale, mentre il lavoro a domicilio (Fiorenza Tarozzi, Lavoratori e lavoratrici a domicilio) è stato visto come residuo di arretratezza produttiva e tecnologica, piuttosto che come complementare al sistema di produzione di fabbrica e ai percorsi di costruzione di capacità lavorative maschili e femminili negli anni del boom. Infine, il rapporto tra lavoro e infanzia (Maddalena Rusconi e Chiara Saraceno, Il lavoro dei bambini) è un tema statisticamente assai sfuggente, continuamente ridefinito nel corso degli ultimi cento anni di storia italiana e che va al cuore di alcuni grandi temi dello sviluppo economico e sociale, come la scolarità e i modelli famigliari.

Barbara Curli