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Stefano Pivato – La storia leggera. L’uso pubblico della storia nella canzone italiana – 2002

Stefano Pivato
Bologna, il Mulino, pp. 246, euro 14,00

Anno di pubblicazione: 2002

Il libro si apre con una trovata scenografica, cioè la pubblicazione integrale dell’Inno di Mameli. L’autore lo considera un esempio programmatico di riflessione in versi e musica sulla storia nazionale, in quanto l’inno tratta il Risorgimento come un processo emanato dalla nazione e dal popolo, ben più che dalle élites e dalla casa reale.
Studioso abituato a sviluppare temi in apparenza marginali rispetto alla storia politica (per esempio si possono ricordare fra i suoi saggi I terzini della borghesia, 1991, e il volume sull’onomastica politica Il nome e la storia, 1999), Pivato è attento a non confondere storia alta e storia bassa, pesantezza e leggerezza: nell’Introduzione chiarisce subito che il suo libro non intende presentarsi come una storia della canzone italiana, e neppure interpretare la nostra vicenda attraverso le parole delle canzoni: ?È semmai un’indagine rivolta a comprendere come la canzone popolare ha letto, tratto ispirazione o, più semplicemente, citato la storia del Novecento? (p. 19).
I cinque capitoli del volume sviluppano questa intenzione prendendo le mosse dai primordi della canzone politica e sociale, dal Risorgimento fino al fascismo, cioè quelle forme in cui più deliberata era l’intenzione propagandistica. Pivato prosegue poi mettendo a fuoco il ruolo a suo modo sociale della canzone, sia nei suoi aspetti spettacolari di massa come il Festival di Sanremo, sia il lato invece ?critico? degli autori e interpreti italiani che sulla scia di artisti come Brassens o Brel hanno concepito la musica come una forma poetica antagonista al potere (o alle forme standardizzate del sentimentalismo borghese).
Seguire le tracce della storia nei versi delle canzoni è un esercizio sociologico soddisfacente, nel senso che è possibile trovare corrispondenze significative tra le vicende italiane (soprattutto per ciò che riguarda il periodo dal 1945 in poi) e le modalità con cui gli autori le hanno trasposte in musica. Risulta infatti di particolare efficacia l’ampio capitolo che Pivato dedica al periodo ?fra prima e seconda Repubblica?, in cui appaiono con chiarezza i temi sollecitati dalla modernizzazione conflittuale del paese, passando per il miracolo economico, il Sessantotto, il disincanto degli anni Ottanta.
I rilievi che si possono compiere sono di due ordini. Da un lato, infatti, per compiere questo esercizio occorre considerare il mondo delle canzoni come un corpus unico, da cui attingere i punti di contatto fra la vicenda storica e le forme in cui essa si ritrova nei brani musicali: una sorta di macrotesto, in cui svanisce l’individualità dei singoli autori di canzoni. Da un altro lato, la sensibilità di Pivato è tutta orientata alla canzone d’autore (ai De Andrè, Jannacci, De Gregori, Guccini ecc.) e ancora più esplicitamente ai vessilliferi del canto popolare come espressione di coscienza politica (il Cantacronache, Ivan Della Mea, Claudio Lolli, Stormy Six e altri).
Ciò che viene a mancare è quella parte di produzione commerciale in cui la storia politica si riflette in modi più mediati. Il libro di Pivato risulta così una guida intelligente alla canzone politica impegnata. Forse ciò che manca è quell’universo musicale in cui la politica è dissimulata nelle forme del consumo.

Edmondo Berselli