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Stephan Aerschmann – Katholische Schweizer Intellektuelle und der italienische Faschismus (1922?1943) – 2002

Stephan Aerschmann
Freiburg, Universitätsverlag Freiburg Schweiz, pp. 202, Fr. Ch. 36,00/euro 24,50

Anno di pubblicazione: 2002

Il libro fa parte di una collana e di un campo di ricerca che in Svizzera è in pratica d’appannaggio esclusivo dell’Università (un tempo cattolica) di Friburgo. Da una quindicina d’anni, Urs Altermatt e Francis Python presentano al pubblico nella loro collana ?Religion ? Politik ? Gesellschaft in der Schweiz? in prevalenza tesi di laurea, il cui denominatore comune è il ?milieu cattolico in Svizzera? (Urs Alternmatt). Gli esponenti di questo milieu disponevano (e dispongono) di una propria opinione pubblica (giornali e riviste) e si sono autodefiniti a lungo proprio come unità subculturale, nonostante non costituisca né un’unità linguistica né geografica. Questo concetto di una subcultura cattolica fornisce pure il metodo e l’approccio teorico per questo studio, che analizza le percezioni del fascismo italiano da parte degli intellettuali cattolici svizzeri attraverso pubblicazioni contemporanee. L’analisi premette l’esistenza d’intellettuali cattolici, senza differenziarli dai non cattolici o dagli intellettuali svizzeri in genere. Così facendo, non s’apprende niente della specificità di questa fascia d’intellettuali, in confronto ad esempio alla pubblicistica di stampo socialista o liberale.
Non stupisce dunque, se tra gli intellettuali cattolici non ci sia stata una visione unanime della specificità e del carattere di modello della via fascista dopo la Prima guerra mondiale. Naturalmente ci furono nella prima fase del fascismo ? ma sicuramente fino all’assassinio di Matteotti ? molte voci cattoliche favorevoli alla lotta contro il liberalismo, il socialismo e la massoneria. Inoltre molti di questi intellettuali intravedevano nell’assetto politico-economico dello Stato corporativo un contro modello all’alternativa liberale, socialista e addirittura comunista. Anche l’analisi della politica fascista in materia di religione e riguardo alle relazioni con la Chiesa non era condivisa da tutti gli intellettuali cattolici. Per gli uni i patti lateranensi del 1929 rappresentavano il successo dell’Italia quale potenza cattolica europea e di conseguenza un modello da seguire quale via cattolica nell’economia, nella politica e nella società; altri ne riconobbero invece presto il carattere strumentale e ritennero che il tentativo d’egemonia fascista fosse in ultima analisi un pericolo per la libertà religiosa. Le strette relazioni tra il Vaticano e il regime fascista non vennero comunque percepite.
In quale misura questi intellettuali ritennero che lo Stato corporativo potesse essere anche un modello per la Svizzera? Aerschmann giunge alla conclusione che gli intellettuali cattolici auspicavano un rinnovamento autoritario della società, che però questi non si riferivano al modello dell’Italia di Mussolini ma piuttosto al periodo svizzero dell’ancien régime, precedente il moderno Stato federale (e liberale). In questo senso, la via fascista italiana sarebbe spesso stata punto di riferimento nel dibattito intellettuale, rispetto soprattutto al pericolo comunista. Per finire, la situazione nello Stato limitrofo, soprattutto a partire dal 1936 dopo l’evidente rotta della sua politica neoimperialista, sarebbe comunque stata analizzata più con distanza che con genuina simpatia.

Thomas Gees