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Susan Jacobs – Combattendo con il nemico. I prigionieri di guerra neozelandesi e la Resistenza italiana – 2006

Susan Jacobs
Venezia, Mazzanti, 288 p., euro 13,00 (ed. or. Auckland, 2003)

Anno di pubblicazione: 2006

Susan Jacobs, docente di Lingua e letteratura italiana all’Università di Auckland, in Nuova Zelanda, ricostruisce nel suo volume le vicende di alcune migliaia di soldati del suo paese, caduti prigionieri degli italiani nel corso dei primi anni del secondo conflitto mondiale. I combattenti neozelandesi furono internati prevalentemente in Veneto e Friuli Venezia Giulia, in particolar modo nel campo di Torviscosa, in provincia di Udine. Lì rimasero rinchiusi fino alla crisi dello Stato italiano, culminata nell’armistizio dell’8 settembre del 1943. A quel punto numerosi combattenti alleati, tra cui circa 1.400 neozelandesi, approfittarono del caos dell’esercito e delle organizzazioni di polizia, trovando spesso l’appoggio della popolazione locale. Qualche tempo dopo, numerosi ex-prigionieri ripresero le armi, confluendo nelle schiere dei raggruppamenti partigiani della zona. Queste ultime vicende sono quelle meglio esplorate dal saggio della Jacobs, costruito quasi esclusivamente sulla memorialistica e sulle fonti orali, tanto italiane che neozelandesi. All’autrice preme infatti ricostruire la dimensione umana di quella straordinaria esperienza che fu l’aiuto dei contadini, in questo caso specifico del Nord-est, agli ex soldati nemici. In tale scelta contava parimenti l’ostilità per i fascisti e i tedeschi, ma anche la volontà di protezione ricordata qualche anno addietro da Anna Bravo, richiamata esplicitamente da numerose testimonianze. Per questa via, ricorda la Jacobs, si costruirono forti relazioni umane, cruciali nel rendere accettabile per i contadini italiani la minaccia di rappresaglie che comportava l’aiuto offerto ai soldati alleati. Ines Martin, la cui famiglia ospitava il soldato neozelandese John Senior, nella sua testimonianza sottolinea proprio la dimensione pre-politica, di aiuto al più debole, della loro scelta: «Anche se conoscevamo i rischi come facevamo a non prenderci cura di loro se non volevano andarsene, perché loro volevano molto bene alla nostra famiglia così come noi volevamo molto bene a loro. John, in particolar modo era come un fratello ed io mi sentivo sua sorella, una della sua famiglia. Avevo continuamente paura ma non avrei mai potuto trovare il coraggio di mandarlo via» (p. 90). Se il volume fornisce quindi utili spunti alla comprensione dei rapporti istauratisi tra ex prigionieri alleati e italiani, (contadini prima ma poi anche partigiani), grazie alla dimensione soggettiva delle fonti utilizzati, la scelta di privilegiare alcune singole vicende in modo eccessivamente frammentario e privo di collegamenti, finisce però per non permettere di valutare l’effettivo valore esemplare delle storie analizzate, incapaci, in assenza di un inquadramento generale, di far comprendere il contributo offerto dai soldati neozelandesi alla Resistenza italiana.

Tommaso Baris