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Susanna Di Corato Tarchetti – Anarchici, governo, magistrati in Italia. 1876-1892 – 2010

Susanna Di Corato Tarchetti
Roma, Carocci, 316 pp., Euro 49,00

Anno di pubblicazione: 2010

Il moto di San Lupo e le vicende processuali che lo seguirono segnano l’inizio di una fase di vivace attività del movimento anarchico in Italia, e dell’altrettanto vivace azione repressiva che lo colpisce. Nel 1891 il congresso di Capolago, con la nascita del Partito socialista anarchico rivoluzionario, segna invece un punto d’arrivo del movimento sul piano strettamente politico, mentre i fatti del primo maggio dello stesso anno a Roma, e l’imponente processo che li segue, ne arrestano per parecchio tempo l’iniziativa.Per tutto il periodo compreso fra questi due estremi l’a., sulla base di una ricca documentazione d’archivio e di una altrettanto ampia pubblicistica, segue lo sviluppo del movimento anarchico in un periodo cruciale dell’800 italiano, ricostruendone sia le dinamiche interne che il confronto con le altre forze politiche alternative. Ne risultano con evidenza lo sviluppo di una posizione strategicamente e tatticamente più consapevole e avveduta, e l’originalità di una scelta, contraria all’individualismo prevalente a fine secolo nel movimento a livello europeo, che molto deve alla riflessione e all’impegno diretto di Errico Malatesta. In parallelo si analizza una strategia repressiva che è facile trovare riproposta in altri periodi e altri contesti: il ricorso alla via giudiziaria, e quindi alla magistratura, come strumento di lotta politica, e la ricerca di strumenti che, consentendo di incriminare gli anarchici per reati comuni, ne facilitino la repressione dando vita alla figura, poi giustamente e retoricamente rivendicata, dell’anarchico «malfattore». Su questo piano cruciale è il passaggio di decennio, con le sentenze delle Cassazioni di Roma e Firenze del 1879, che facevano del militante anarchico un potenziale criminale nei confronti della proprietà, e con quella dell’anno successivo con cui di nuovo la Cassazione romana equiparava l’associarsi di cinque o più persone del movimento a una associazione a delinquere. Le nuove leggi di pubblica sicurezza, dovute a Crispi, rendevano in seguito ancora più efficace la macchina repressiva.Il volume ricostruisce con attenzione spesso minuziosa le vicende del periodo su entrambi i fronti, e forse fa credito troppo generosamente agli anarchici di una loro preveggenza sui futuri guasti di una visione rigidamente classista della rivoluzione, e della forma partito che l’avrebbe accompagnata. Sul piano delle istituzioni sembra invece di non poco interesse il dato evidente che in un paese di scarsa tradizione liberale, e in cui nella stretta di fine secolo la classe politica è incline a un autoritarismo sempre più esplicito, almeno una parte della magistratura si schieri, e si esponga in prima persona, a tutela del garantismo, mandando a vuoto non pochi dei tentativi di repressione indiscriminata spesso progettati e sostenuti direttamente a livello ministeriale.

Giuseppe Civile