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The Italian American Table. Food, Family, and Community in New York City

Simone Cinotto
Urbana, Chicago and Springfield, University of Illinois Press, 265 pp., $ 32,00

Anno di pubblicazione: 2013

Il lavoro si inserisce nel rinnovamento degli studi che interessa da tempo le ricerche sull’immigrazione e incrocia gli studi sulle comunità italo-americane con i risultati del rinnovato interesse degli storici riguardo alle pratiche sociali e culturali legate al cibo. Seguendo i saggi seminali di Donna Gabaccia e Asia Diner, l’a. ricrea un quadro convincente e ben documentato delle pratiche del cibo come creazione culturale autonoma e in divenire, risposta tutt’altro che statica alle esigenze di adattamento personale e comunitario.
Lo studio è la traduzione rielaborata di Una famiglia che mangia insieme. Cibo ed etnicità nella comunità italo americana di New York 1920-1940 (Otto editore, 2001), rispetto al quale presenta una nuova introduzione, un primo capitolo inedito e una bibliografia aggiornata. In particolare prende in esame l’Italian Harlem, zona di Manhattan in cui massima era la concentrazione degli immigrati italiani, nel passaggio dalla prima alla seconda generazione. Una prima conclusione è che la pratica del cibo risenta dei conflitti generazionali: laddove i genitori usavano le pratiche sociali del cibo per mantenere unita la famiglia e controllare i figli, questi le rifiutavano alla ricerca di maggiore libertà e di integrazione nel paese ospitante, con il risultato di giungere al compromesso di adottare pratiche «americane» nella sfera pubblica e «italiane» nella sfera privata (ad esempio il pranzo della domenica). Anche l’aspetto di genere riveste un ruolo di primo piano: la figura stereotipica della donna italiana gioca la sua identità nel sapere cucinare, curare la casa, dare sostegno alla famiglia; così come quello di classe, considerate le origini contadine della gran parte dell’immigrazione meridionale, che trovava un primo coronamento del «sogno americano» nel consumo di alimenti ricchi come carne, vino, zucchero e caffè. La seconda parte del libro è dedicata agli aspetti economici di questo rapporto con il cibo, i quali costituiscono un mezzo di integrazione attraverso diversi canali. Innanzitutto, vi era la produzione locale di alimenti della tradizione: in crescita dopo che la prima guerra mondiale rescisse temporaneamente i legami con l’Italia e diede vita a una nuova classe di imprenditori. Poi vi era la creazione di canali di importazione e distribuzione, che riuscirono a diffondere l’apprezzamento del cibo italiano anche presso la comunità americana. Infine vi fu lo sviluppo progressivo di una classe di ristoratori che infusero gusto, colore, identità alla Little Italy di New York, punteggiandola con locali caratteristici che offrivano non solo cucina ma una narrativa del Mediterraneo in cui si fondevano natura e tradizione culturale.
Grazie all’uso di materiali diversi (in particolare delle testimonianze raccolte nell’archivio di Leonard Covello), il libro contribuisce in maniera significativa sia alla conoscenza delle comunità italo-americane, sia alla comprensione delle pratiche del cibo come strumento simbolico di autoidentificazione e di creazione di una identità sociale e culturale.

Emanuela Scarpellini