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Ty Geltmaker – Tired of living : suicide in Italy from national unification to World War I, 1860-1915 – 2002

Ty Geltmaker
New York, Peter Lang, pp. X-137, $ 46,95 hbk

Anno di pubblicazione: 2002

Fu un ventisettenne milanese che nel 1910 era stato salvato dalla morte per avvelenamento a dire che era ?stanco di vivere?. Ma era da tempo che la stampa prestava attenzione ai sempre più numerosi casi di suicidio. Non è chiaro per la verità quale fosse il fondamento statistico della constatazione, che però Geltmaker sembra prender per buona, riprendendola dalle dubbie cifre di Morselli: nei decenni successivi all’unificazione il tasso di suicidi o di tentati suicidi sarebbe cresciuto esponenzialmente. Il fenomeno fu discusso e studiato: Geltmaker ha registrato 133 titoli sul tema apparsi in Italia tra 1850 e 1889. Nel 1878, vent’anni prima dello studio di Durkheim, Enrico Morselli, direttore del manicomio di Macerata vinse il premio bandito dall’Istituto Reale Lombardo per lo studio scientifico del nuovo allarmante fenomeno. Ne nacque un ?saggio di statistica morale comparata? di 500 pagine che Geltmaker analizza da vicino, collocandolo accanto a vari altri testi firmati tra gli altri da Enrico Altavilla, Enrico Ferri e Cesare Lombroso.
Nascono in quel dibattito e in quella letteratura i temi ricorrenti che vogliono il suicidio più frequente nel Nord che nel Mezzogiorno, nelle città che nelle campagne, nei paesi protestanti o di religione mista che in quelli cattolici. In breve: il suicidio è figlio dello sviluppo civile moderno, e discuterne significa affrontare il tema della trasformazione della società italiana dopo l’unità. In effetti, quanti ne scrivevano mettevano il suicidio accanto ai vari altri fenomeni degenerativi e criminosi che a loro dire segnalavano una trasformazione sociale intensa. Non diversamente opinavano circa l’omosessualità, o la criminalità femminile, perversioni che al pari del suicidio (che peraltro questi autori vedevano anche come perversione erotica) risultavano inversamente proporzionali all’omicidio, che era piuttosto un sintomo di primitivismo (e che declinava infatti, anche se ? non a caso ? meno nel Mezzogiorno che nel Nord del paese).
E’ questo più vasto contesto ad interessare Geltmaker, che definisce ?modest? questo suo breve libro, prima organizzazione di materiali scevra di prospettive teoriche. Che sia la costola di un più ampio studio sull’onore, la violenza e l’identità nazionale italiana lo mostra la cura con la quale in lunghi soggiorni in tante biblioteche italiane l’autore ha spogliato una ricca pubblicistica che qui evoca allorché tocca il tema del suicidio ? peraltro incastonandola per l’occasione in una cornice di storia italiana alquanto elementare, che stona con l’arguzia dell’analisi. Si parla allora del duello o della guerra, entrambi classificabili come strumenti indiretti di suicidio. Ovviamente la casistica dei suicidi indiretti o dei comportamenti autoaggressivi è ricca e varia; può anche includere, secondo Altavilla, il caso di Gesù Cristo, salvatore dalle tendenze suicide (o suicida salvifico?). Inutile dire che, stigmatizzando anch’essa il fenomeno, la ?Civiltà Cattolica? vi vide il trionfo dei principi dell”89 e indicò la responsabilità che ne recavano gli scritti di Foscolo, di Leopardi, di Guerrazzi, gli aneliti alla morte romantica o alla morte patriottica, o alla desolata disperazione che segue la perdita delle speranze.

Simona Trombetta