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Ugo Mancini – 1939-1940. La vigilia della seconda guerra mondiale e la crisi del fascismo a Roma e nei Castelli romani – 2004

Ugo Mancini
Roma, Armando, pp. 192, euro 15,00

Anno di pubblicazione: 2004

Il fascismo in provincia colto all’alba e al tramonto della sua parabola, potrebbe dirsi analizzando la produzione dell’autore, docente di storia nei licei che, prima di questo volume, ne aveva dedicato un altro a Lotte contadine e avvento del fascismo nei Castelli romani. Entrambi, sia detto subito, sono lavori seri, basati sulla capacità di utilizzare documentazione d’archivio e, in parte, letteratura scientifica. Nulla a che vedere, dunque, con certe incursioni maldestre in campo storiografico (spesso a tesi) di cui anche l’Annale SISSCO è costretto ad occuparsi. Qui (al di là di un eccesso di ?fiducia? nelle relazioni dei fiduciari del regime o di esiti interpretativi che finiscono per dipingere un quadro forse troppo contrario alla guerra, senza sfumature) la dimensione locale della ricerca non solo viene inserita nel più ampio contesto della deriva filonazista del regime e delle conseguenze su quadri del Partito e popolazione di un’opzione bellicista ormai sempre più evidente nella svolta del decennio 1939-40, ma assurge anche a caso di studio particolarmente significativo degli umori degli italiani, trattandosi di un’area locale ? tra la capitale e il suo territorio, a diretto contatto con i centri del potere fascista e istituzionale ? di sicuro tra le meno periferiche dell’Italia che veniva da vent’anni di dittatura. Utilizzando fonti esclusivamente fasciste tra l’ACS e l’Archivio di Stato di Roma (in specie carte di polizia, del PNF, prefettizie), una certa memorialistica (Bottai, Ciano, Starace, lo stesso duce), molto De Felice e una spruzzata di Aquarone, Colarizi e Gentile, l’autore offre una ricostruzione articolata e anche ben scritta dei segni evidenti di crepe alla base dell’edificio del regime all’avvio della seconda guerra mondiale. Benché egli parta, opportunamente, da lontano (almeno dal tornante del 1929) nell’individuare scollamenti tra retorica del potere fascista e realtà quotidiana degli italiani, non v’è dubbio che l’accelerazione drammatica indotta dal conflitto, l’evidente rotta di collisione su cui era avviata l’Italia, l’abbraccio mortale con la Germania nazionalsocialista nonché l’acuirsi delle difficoltà economiche e il disagio provocato da gerarchie del Partito tanto più corrotte che in altre zone del paese, siano stati elementi che hanno infine attizzato forme di non completa adesione alle scelte ultime del fascismo. Forme mai aperte o organizzate, lo sappiamo: mormorii, stanchezze, piccoli atti contro il regime coinvolgevano gli abitanti sia a Roma sia nei Castelli e facevano da contraltare alle adunate più o meno oceaniche tese invece a dare opposta impressione. Manifestazioni che ci confermano un quadro siffatto: paura del conflitto e insofferenze per le ingerenze del fascismo nella vita di ognuno, non però esplicita opposizione; indifferenza verso la politica e chiusura entro il proprio particulare, anche allo scoppio della guerra, atteggiamento cui solo gli esiti tragici dello scontro armato, arrivato infine in casa, avrebbero dato una scossa, conducendo la gran parte degli italiani ad aprire gli occhi e una parte all’aperta ribellione.

Enzo Fimiani