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Ugo Mancini – Il fascismo dallo Stato liberale al regime – 2007

Ugo Mancini
Soveria Mannelli, Rubbettino, 340 pp., Euro 25,00

Anno di pubblicazione: 2007

L’a. ha svolto una ricerca originale, in particolare presso l’Archivio Centrale dello Stato e l’Archivio di Stato di Roma, relativa a Roma, ai Castelli romani e al Lazio, anche se l’opera non si presenta come una storia locale. L’ambizione dichiarata anche nel titolo fin troppo generalizzante è quella di connotare la ricostruzione storica delle origini del fascismo e della prima stabilizzazione del regime, circoscritta agli anni ’20, con un più ampio riferimento alle tematiche del consenso e alle interpretazioni generali del fascismo, che sono frequentemente discusse e rielaborate con notevole impegno esegetico e interpretativo. L’avvento del fascismo in un’area regionale dove le basi di massa conseguite dal movimento e poi dal Partito erano meno estese che nella Valle Padana, in Emilia o in Toscana, comportò un rapido adattamento alle nuove e fortunose circostanze della conquista del potere, che verteva su un accentuato centralismo e sull’esaltazione della funzione politica e amministrativa della capitale del governo e dello Stato. Il potere fascista fu, però, molto più instabile di quanto la dittatura volesse far credere o cercasse di mostrare pubblicamente. Nelle lotte intestine dei gruppi dirigenti locali e nel retroterra, per così dire, del sottogoverno fascista riemergevano innumerevoli differenziazioni e policentrismi, tanto che l’a. può coerentemente declinare sempre al plurale le categorie concettuali e i termini storiografici convenzionali: «consensi», «dissensi», «antifascismi». La sua insistenza su una società frammentata, «sotterraneamente atomizzata» o addirittura «polverizzata» (p. 9) viene proposta come chiave di analisi e di lettura, e dunque potenzialmente estensibile a tutto il ventennio. Le continuità amministrative, se non politiche, dell’operato di governo fascista con il prefascismo resero meno brusca e «rivoluzionaria», ed anche meno incisiva, la trasformazione dello Stato da liberale a totalitario. La restrizione sostanziale del tenore di vita della popolazione attiva in agricoltura e nell’industria, e gli insuccessi della modernizzazione, furono precondizioni ben poco promettenti per la ricerca di un vasto e autentico consenso popolare attivo da parte del regime di Mussolini. I gerarchi di provincia non riuscirono a costituire, altro che per brevi momenti, un vero e proprio gruppo dirigente regionale, tale da influenzare in modo sensibile e duraturo la composizione del governo fascista e dello stesso Municipio e, in seguito, Governatorato di Roma, dove non di rado tendevano a presentarsi molti e ambiziosissimi candidati «forestieri». Gli antifascisti conservarono, anche se non sempre, una notevole capacità di resistenza sotterranea, che l’a. documenta con ampi riscontri. L’impatto della dittatura sulla società e sul percorso storico dell’Italia contemporanea fu al tempo stesso notevole e differenziato, tutt’altro che univoco e monodirezionale: si trattò non tanto di un incontro quanto piuttosto di «incontri tra il fascismo e la società civile» (p. 7).

Marco Palla