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Un ponte sull’Atlantico. Il «Programma di visitatori» e la diplomazia pubblica della Comunità europea negli anni Settanta

Alessandra Bitumi
Bologna, il Mulino, 145 pp., € 16,00

Anno di pubblicazione: 2014

Gli studi di storia dell’integrazione europea hanno conosciuto negli anni recenti uno
sviluppo significativo. La caduta del Muro di Berlino, il consolidamento dell’Unione Europea e il nuovo ruolo da essa assunto in un contesto multipolare sono da considerarsi in
qualche modo «liberatori» per questo settore di ricerca, consentendone l’emancipazione
dalla piatta interpretazione che faceva coincidere europeismo e atlantismo e dalla lunga soggezione alla storia delle relazioni internazionali. Gli studi sul processo di unificazione si sono
così ampiamente diffusi, aprendo la strada ad approfondimenti su singoli episodi.
È questo il caso dell’originale volume di Alessandra Bitumi il cui focus si concentra
su un tema – il Programma di visitatori della Comunità Europea (Pvce) o programma
Schuijt, dal nome del parlamentare olandese che se ne fece promotore – che nel processo
di costruzione comunitaria rappresenta un episodio, pur significativo, di nicchia, mirando ad approfondire il dialogo transatlantico attraverso l’istituzione di un sistema di
scambi culturali indirizzato in prima istanza alle categorie professionali e alle future élites.
Il volume s’inserisce in un filone di ricerca nuovo, teso ad allargare gli approfondimenti
storiografici sull’integrazione europea ad attori e reti non governativi, mettendo l’accento
sul ruolo della diplomazia pubblica e sugli scambi culturali.
Il Pvce prevedeva l’assegnazione di un certo numero di borse di studio di durata
mensile al fine di promuovere la conoscenza della realtà comunitaria negli Usa in un
momento di rapporti tesi tra le due sponde dell’Atlantico, creando un network di persone
dai valori culturali condivisi. Gli ispiratori del programma, Théo Junker e Guy Vanhaeverbeke, si rifacevano a esperienze personali: il primo era infatti un Fullbrighter, mentre
il secondo aveva partecipato al programma del Dipartimento di Stato americano Young
Leader Grant. Approvato dal Parlamento europeo nel gennaio 1973 e accettato dalla
Commissione nel febbraio dell’anno successivo, il Programma è stato avviato nell’aprile
1974 ed è rimasto attivo, con successive modifiche, sino ai nostri giorni.
Il Pvce viene individuato dall’a. come case study delle dimensioni politiche delle
relazioni esterne comunitarie, in un periodo, l’avvio degli anni ’70, in cui la Comunità
mira ad affermarsi come soggetto avente un proprio ben definito profilo istituzionale.
Frutto di quello spirito dell’Aja sul quale spesso la storiografia ha sorvolato, il Programma,
ben ricostruito dall’a. che si avvale di fonti primarie attinte sia dagli archivi dell’Ue che
da quelli americani, consente di affrontare una serie di problematiche di ampio respiro e
di grande attualità, abbozzate anche se non sempre sviluppate nel volume: dalla ricerca
di un approfondimento della Comunità in ambito politico al nuovo ruolo assunto dal
Parlamento europeo in vista delle elezioni dirette; dal profilarsi, con il completamento del
rilancio europeo avviato a Messina, di una conflittualità tra le due sponde dell’Atlantico
all’affannosa ricerca di una identità europea.

Daniela Preda