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Una Chiesa secondo il Concilio. Il ministero episcopale di Carlo Manziana a Crema (1964-1982)

Pier Luigi Ferrari (a cura di)
Brescia, Morcelliana, 240 pp., € 20,00

Anno di pubblicazione: 2017

Il volume raccoglie gli atti di un convegno svoltosi a Crema il 18 ottobre 2014 per il cinquantesimo dell’ingresso in diocesi del filippino Carlo Manziana, nato a Brescia nel 1902. L’iniziativa ha ripercorso magistero e pastorale del vescovo, fra Vaticano II e ricezione del suo rinnovamento. I saggi storicizzano un discorso spesso inquinato da ermeneutiche teologiche, spostando lo sguardo sugli interpreti del cambiamento ecclesiale. Gli autori sono F. De Giorgi, P. Trionfini, G. Formigoni, G. Vecchio, A. Lameri, M. Maraviglia e S. Scatena. Mons. Ghidelli, già segretario di Manziana, propone una breve riflessione. De Giorgi ricostruisce il protagonismo di Manziana all’interno dell’Oratorio della Pace, quale trama di relazioni – con Montini, p. Bevilacqua, etc. – in cui si sono svolte le prime esperienze pastorali del filippino. Durante la guerra, l’assistenza agli intellettuali diventa un impegno civile – pagato con la deportazione – che guarda alla ricostruzione democratica.
La sua dilatazione politica, in una Brescia democristiana, permette a Manziana di sperimentare un’ecclesiologia di comunionefondata sul dialogo, che si affianca all’aggiornamento dell’editrice Morcelliana. La fisionomia montiniana di Manziana si apre nei saggi dedicati al periodo cremasco. Egli – nota Formigoni – è un prelato montiniano, chiamato in un episcopato italiano ancora plurale ad animare un clero abituato a ben altra pastorale, attraverso una sintesi fra tradizione e modernità. Trionfini presenta la sua ricezione del Vaticano II come adesione allo «spirito conciliare». La solidità della diocesi spinge Manziana a rinunciare a un disegno episcopale, in favore di uno stile costruito sull’«autenticità», come aderenza al presente per una piena testimonianza. Il vescovo guarda alla guida «dall’alto» di Paolo VI, più che alla Cei. Rilancia strumenti collaudati, come l’Azione Cattolica, insistendo sulla formazione del clero e risvegliando il laicato attraverso riforma liturgica – affrontata da Lameri – e Consiglio pastorale. Il suo ecumenismo, maturato a Dachau e messo in luce da Maraviglia e Scatena, si traduce in una pedagogia dello spirito che sostiene uno sforzo di maturazione pastorale.
Su questa sintesi fra tradizione e rinnovamento impatta la contestazione. Manziana la comprende con difficoltà nelle sue ragioni profonde, come aspirazione a una maggiore articolazione dell’unità o a una più ampia autonomia, ad esempio in occasione del divorzio. Vecchio e Formigoni mostrano il suo smarrimento di fronte all’individualismo del clero, al relativismo morale, al soggettivismo con cui s’interpreta la categoria del «popolo di Dio», tendenze che emergono nella crisi delle Acli, del cattolicesimo politico e organizzato, attratto dalla sinistra, dai movimenti postconciliari e dalle comunità di base. Questo pessimismo non interrompe però il rinnovamento, con l’invito, nella scia del convegno su Evangelizzazione e promozione umana, ad aprire la parrocchia ed estendere le forme comunitarie della fede a tutte le realtà ecclesiali.

Alessandro Persico