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Ungheria: la costruzione dell’Europa di Versailles

Alessandro Vagnini
Roma, Carocci, 2015, 215 pp., € 22,00

Anno di pubblicazione: 2016

Il primo dopoguerra, uno dei momenti più complessi della tormentata storia ungherese
del ’900, rappresenta il centro del volume di Alessandro Vagnini. Il libro strutturato
in tre capitoli e basato in buona parte sulle carte della Commissione interalleata di
controllo, conservate presso l’Archivio dello Stato maggiore dell’Esercito, nasce, secondo
le parole dell’a., con l’ambizione di affrontare la storia magiara nel primo decennio postbellico
con particolare attenzione alle relazioni con l’Italia.
L’analisi del volume pone con evidenza al recensore due problemi metodologici. Il
primo è relativo all’uso delle fonti. L’a. fa largo ricorso a documenti diplomatici italiani,
britannici e francesi ma di tali documenti non viene indicata quasi mai la data, e mai la
natura, l’estensore, il destinatario, limitandosi a riportare la serie, il volume e il numero
del documento: dunque il lettore resta senza riferimenti essenziali. Il secondo problema
riguarda l’estrema limitatezza della bibliografia utilizzata. L’a. ignora (non è dato sapere
se volutamente o meno) gran parte della produzione bibliografica italiana o tradotta nella
nostra lingua, dedicata alla storia ungherese in questa congiuntura e alle relazioni italomagiare:
dai volumi più specifici (Fornaro, Guida, Tolomeo, Papo, Ruspanti, Volpi ecc.)
a quelli di più ampio respiro (basti pensare a Burgwyn, Caccamo, Monzali ecc.).
Gran parte della ricostruzione poggia sulle carte della Commissione interalleata di
controllo e sui documenti diplomatici editi, peraltro, come detto, citati in maniera non
corretta. L’effetto complessivo è quello di una ricostruzione a tratti minuziosa ma nel
complesso limitata, incapace di restituire la portata delle fratture e delle grandi trasformazioni
attraversate in quegli anni dallo Stato ungherese. La volontà di ricostruire ogni
singolo passaggio diplomatico, come pure un intero capitolo centrale dedicato ai controlli
sugli armamenti ancora in possesso degli ungheresi e più o meno maldestramente occultati
agli organi internazionali di vigilanza, impediscono all’a. di concentrarsi su una visione
più generale che avrebbe potuto far emergere in tutta la sua portata la questione vera che
agita le tormentate acque della politica ungherese di quegli anni: il doppio trauma, dato
dalla perdita delle regioni storiche e dalla pur breve esperienza rivoluzionaria di matrice
bolscevica, che invece è la cifra del primo dopoguerra ungherese costringendo il paese a
un virtuale isolamento politico e diplomatico.
Questo limite del libro è, probabilmente, il prezzo pagato a un approccio storiografico
che da un lato pretende di prescindere da un confronto (vero!) con la storiografia
che ha già affrontato tali tematiche, e dall’altro crede di poter basare una ricerca sostanzialmente
su un’unica tipologia di materiale documentario, nella fattispecie la summenzionata
documentazione militare italiana, che proprio per la sua peculiare natura avrebbe
bisogno di una ben differente problematizzazione e dell’attento raffronto con altre fonti
sia primarie che secondarie.

 Alberto Basciani