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Uomini e generali. L’élite militare nell’Italia liberale (1882-1915)

Jacopo Lorenzini
Milano, FrancoAngeli, 294 pp., € 35,00

Anno di pubblicazione: 2017

Dei tanti temi di una storia militare ormai emancipata dall’histoire bataille, quello degli ufficiali è fra i più battuti. Il volume di Lorenzini aggiunge un ulteriore, lodevole tassello. Lodevole sia nel non guardare al militare in modo solipsistico, facendosi «libro di storia delle istituzioni attraverso lo studio delle loro élites» (p. 29); sia per la ricchezza delle informazioni, che spaziano dall’istruzione alla composizione regionale e sociale; dalla sfera affettiva alla socialità; dai comportamenti economici al rapporto con la politica sino alle esperienze fuori d’Italia, in colonia o come addetti militari.
A essere sviscerato in modo così ben documentato, e con opportuni cenni comparativi, è «un numero limitato (e non costante nel tempo)» di ufficiali (p. 53): un merito, dal momento che amplia la prospettiva di studi altrettanto certosini ma limitati alla scala regionale, evitando però le generalizzazioni di alcuni lavori anche recenti. D’altro canto, che profonde differenze intercorressero fra ufficiali inferiori e superiori è noto. Come lo è che l’élite dell’ufficialità – qualsiasi cosa essa sia – non si definisse solo in base al posto nella gerarchia.
Discutibile è però il criterio nell’individuare questa élite, intesa come «quella parte […] dotata della possibilità di influire fattivamente sugli indirizzi di sviluppo e gestione dell’istituzione militare, nonché sulla definizione della sua formazione e della sua ideologia professionale» (p. 53). Si tratta di un parametro che l’a. argomenta con puntiglio da tesi dottorale e che consente di tener dentro larga parte dei generali, dei superiori e dei membri dello Stato maggiore, oltre a ministri, ispettori e presidenti del Tribunale supremo. Ma è anche un criterio che accomuna 247 uomini in base a un presunto potere d’indirizzo sulla macchina militare, finendo per sminuire sia le distanze che separano un ministro della Guerra da un più anonimo ispettore, sia l’effetto centrifugo di fattori come l’arma, l’anzianità, il luogo di stanza, il milieu d’appartenenza e i patrimoni personali nel determinare il modo d’interpretare la professione, la missione di quadro nazionale, il rapporto con la politica e pure la vita privata. In più, è un principio che, muovendo dall’assunto di una sostanziale uniformazione dei livelli inferiori alle linee guida definite da questo insieme, forse ne sopravvaluta la capacità d’incidere e al contempo sottovaluta l’agency di figure a cui visibilità o posti di responsabilità davano un’influenza non irrilevante (ufficiali-scrittori, membri dei tribunali territoriali, comandanti di reggimento, etc.). Così da consigliare maggiori sfumature nell’articolazione e nei confini di questa «elite», con conseguente verosimile alterazione del suo profilo.
In sintesi, un contributo serio e utile su un pezzo d’ufficialità che – come lo stesso a. conclude – «non è un monolite» (p. 268). Ma che proprio per questo costituisce un oggetto d’indagine più sfuggente e frastagliato di quanto modelli socio-politologici e la copiosa documentazione disponibile possano suggerire a primo acchito.

Marco Rovinello