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Valentina Fava – Storia di una fabbrica socialista. Saperi, lavoro, tecnologia e potere alla Škoda auto (1918-1968) – 2010

Valentina Fava
con una presentazione di Franco Amatori, Milano, Guerini e Associati, 276 pp., €

Anno di pubblicazione: 2010

Il volume porta un contributo originale a due temi storiografici, il primo relativo alle modalità di adattamento o ibridazione del fordismo fuori d’America nei paesi produttori di automobili tra anni ’20 e anni ’60 del ‘900, il secondo alle forme della sovietizzazione dei paesi satelliti dell’Urss in Europa orientale nel secondo dopoguerra. Lo studio del caso Škoda è particolarmente interessante perché analizza il recepimento del fordismo da parte dei tecnici cechi negli anni tra le due guerre, secondo modalità non dissimili da quelle di altri paesi europei nei quali la ridotta dimensione del mercato dell’auto e le caratteristiche qualitative delle tradizioni produttive locali favorivano una ricezione adattativa e per certi versi creativa dei modelli d’oltreoceano. Gli stessi ambienti tecnici, influenzati da pulsioni tecnocratiche non aliene da accenti nazionalistici che stabilivano un nesso tra modernizzazione industriale e rafforzamento dello Stato nazionale cecoslovacco, furono chiamati nel secondo dopoguerra a operare sotto il sistema di direzione sovietico, nel quale il richiamo alla costruzione del socialismo e alla tecnologia socialista faceva nuovamente leva sull’impasto di nazionalismo e tecnocrazia. L’obiettivo dell’efficienza aziendale veniva perseguito dai tecnici Škoda anche attraverso tentativi di mantenere contatti con l’Ovest al fine di acquisire conoscenze tecniche e organizzative più moderne, indipendentemente dalla loro provenienza. Il rafforzamento della produzione nazionale assumeva così caratteri contraddittori, in quanto poteva essere interpretato in chiave di salvaguardia dell’autonomia della Cecoslovacchia dall’ingombrante alleato. I limiti della programmazione socialista furono dapprima sperimentati nelle carenze del piano produttivo negli anni ’50; poi nelle persistenti inefficienze, disfunzioni e carenze di rifornimenti nonostante i nuovi massicci investimenti dei primi anni ’60, che avrebbero dovuto segnare la piena realizzazione di un fordismo esasperato quanto a standardizzazione produttiva. Stretti tra i limiti imposti alla produzione automobilistica per il primato assegnato alle produzioni militari e di base, l’incapacità di adeguare l’offerta alla crescente domanda, il rifiuto programmatico dello sloanismo e della differenziazione dei modelli, i tecnici dell’auto avrebbero puntano, alla vigilia della primavera di Praga, sulle nuove tendenze del marketing occidentale, facendo marciare di conserva la riforma produttiva e organizzativa in direzione dell’individualità del consumatore con la riforma politica. La storia della Škoda si presta così assai bene a osservare le difficoltà e i limiti della sovietizzazione dei paesi del blocco di Varsavia, che dovette fare i conti con le resistenze non solo delle strutture sociali tradizionali, ma anche e soprattutto delle culture tecniche locali, particolarmente vivaci in un paese, quale la Cecoslovacchia, e la Boemia in particolare, che rappresentava una delle aree più industrializzate dell’Europa orientale.

Stefano Musso