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Verso la terra promessa. Scrittori italiani a Gerusalemme da Matilde Serao a Pier Paolo Pasolini,

Alberto Cavaglion
Roma, Carocci, 133 pp., € 16,00

Anno di pubblicazione: 2016

In questo volume si ricostruisce un percorso molto ramificato fatto di sentieri disseminati
di lapis, macchine da scrivere, penne, che convergono verso uno dei luoghi
per eccellenza dell’immaginario occidentale: Gerusalemme, in cui una fitta stratificazione
simbolica sovrasta inesorabilmente la realtà. L’a. affronta così anche il nodo personale del
conflitto mediorientale con le sue diverse ricadute paralizzanti come «lo choc del 1982,
della guerra in Libano, di Sabra e Chatila, dell’attentato contro la sinagoga di Roma e
della morte di Stefano Taché» (p. 19), con la convinzione però che «la letteratura sappia
offrire un’angolatura alternativa alla storia» (p. 11).
Una ricostruzione affascinante fatta di tanti personaggi, noti (tra cui Serao, Ungaretti,
Buzzati, Zanotti Bianco, Moravia, Silone, Montale, Pasolini) e meno noti (come Augusto
De Angelis, don Cesare Angelini, Flora Randegger-Friedenberg, Fausta Cialante).
Tranne pochi, aggrappati saldamente al principio di realtà, gli altri sono sopraffatti dalla
potente forza evocativa del luogo, per cui lo scarto tra la concretezza e le aspettative si fa
invalicabile, intrecciato com’è a inclinazioni culturali o ideologiche che imprigionano i
viaggiatori in immagini da cui sono esclusi alternativamente alcuni attori fondamentali
del paesaggio sociale palestinese, all’insegna delle «cose (non) viste» (p. 41): gli ebrei sionisti
nei testi riconducibili agli ambienti cattolici, lì dove al massimo comparivano nelle
stive delle navi che portavano pellegrini e scrittori in Palestina (pp. 43-44), con l’eccezione
di Angelini; gli arabi nei resoconti riconducibili al mondo ebraico, con l’eccezione di
Giorgio Voghera (pp. 49-50).
Prima del 1967 è soprattutto un nostrano orientalismo (De Gubernatis per tutti)
e un riformismo cattolico modernizzante (Gallarati Scotti per tutti) a spingere verso la
terra promessa, uniti a una tradizione meridionalista e di studi agricoli che guarda con
interesse partecipe all’esperimento sionista (p. 60). Dopo il 1967 è la voglia di capire
cosa succede a spingere molti scrittori e intellettuali a imbarcarsi: e qui il confronto è tra
chi parte per vedere, come Pasolini, e chi non parte e giudica, come Fortini. Il 1967 è
l’anno di svolta da cui comincia, secondo l’a., sia la crisi dell’immagine di Israele a causa
dell’occupazione, che la critica dell’antifascismo per opera del movimento studentesco.
Vicenda esemplificata da un viaggio di esponenti azionisti in Israele nel marzo 1968 che
vengono ferocemente attaccati dai giovani del movimento sia per essere esponenti di una
rivoluzione mancata (la Resistenza), sia per la difesa di Israele nonostante il tradimento
del sogno internazionalista dei padri fondatori (pp. 98-99). Crisi dell’antifascismo resistenziale
e critica a Israele seguono quindi, per l’a., due traiettorie destinate a intrecciarsi,
attraverso lo stesso «lessico», gli stessi «argomenti» e la stessa «mitologia letteraria» (p. 98),
attraverso una dialettica generazionale lacerante che ha lasciato un segno profondo nella
cultura italiana.

 Gabriele Rigano