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Victor Zaslavsky – Pulizia di classe. Il massacro di Katyn, Bologna – 2006

Victor Zaslavsky
il Mulino, 134 pp., euro 11,00

Anno di pubblicazione: 2006

Ancora oggi scarsamente noto e non sempre presente nei manuali di storia, il massacro di Katyn rappresenta uno degli eccidi più significativi del Novecento: non solo perché costituisce un episodio paradigmatico della violenza politica di Stato dell’Unione Sovietica dell’epoca staliniana, ma anche perché riassume il lungo percorso di menzogne, rimozioni, censure, giustificazioni che hanno accompagnato il tentativo di fare conoscere i principali crimini del XX secolo, e in modo particolare quelli del comunismo. Nell’aprile-maggio del 1940 gli uomini del NKVD (eredi della CEKA e fratelli maggiori del KGB) fucilarono venticinquemila cittadini polacchi ? in larga parte ufficiali ? che erano stati presi prigionieri in seguito all’occupazione sovietica della Polonia orientale, risultato immediato del patto Molotov-Ribbentrop firmato nell’agosto del 1939. I cadaveri vennero gettati in fosse comuni, nella piccola località vicina alla città di Smolensk, e attorno al massacro le autorità sovietiche costruirono una versione ufficiale che attribuiva ai soldati tedeschi, successivamente, la responsabilità dell’eccidio (i sovietici cercarono addirittura, ripetutamente, di fare inserire il massacro di Katyn tra le prove a carico dei gerarchi nazisti nel processo di Norimberga). Zaslavsky, che si era già cimentato con questo argomento otto anni fa, pubblicando una parte dei documenti resi allora accessibili e ponendo le basi essenziali per una conoscenza non superficiale di quest’affaire, ritorna adesso con una versione ampliata e aggiornata sulla questione: intrecciando il racconto delle vicende, ricostruito sulla base della documentazione accessibile, con la narrazione dei silenzi, depistaggi, complicità che accompagnarono il tentativo di falsificazione ? a lungo riuscito ? di quell’evento storico. Dopo una fase di approccio aperto alla verità, culminata nella visita di El’cin al monumento in memoria delle vittime, la situazione si è andata progressivamente richiudendo in una cupa «atmosfera culturale, prodotta e alimentata dalla deriva autoritaria del regime di Putin » (p. 9), lasciando ancora secretati circa la metà dei 183 volumi di documenti raccolti sul caso. Il libro è rigoroso ed esemplare tanto nella ricostruzione storica del massacro quanto nell’analisi del percorso che la memoria e la narrazione di quel fatto hanno subito nei decenni successivi. Il contesto politico, diplomatico e militare entro cui maturò la violenza sovietica contro i prigionieri polacchi, le motivazioni ideologiche e «imperiali» che spinsero a misure al tempo stesso «normali» (nella logica del sistema) e «eccezionali» (per il rispetto delle leggi internazionali cui anche l’URSS aveva aderito), la determinazione, quando si presentò l’occasione, a farne uno strumento di propaganda che si sapeva avrebbe trovato numerosi difensori anche in Occidente, chiariscono in modo esauriente il significato storico, ma anche simbolico, che assume a oltre sessantacinque anni di distanza questo episodio di violenza inaudita. Particolarmente interessante è la ricostruzione delle contraddizioni che portarono Gorbac ?ev a impedire che venisse fatta piena luce sull’episodio, come anche l’atteggiamento, soprattutto britannico, nell’avallare la versione falsificata fino a quando divenne impossibile.

Marcello Flores