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Welfare in transizione. L’esperienza dell’ONMI (1943-1950)

Domenica La Banca
Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 334 pp., € 29,00

Anno di pubblicazione: 2013

Vita difficile quella dell’Opera Nazionale per la Protezione della Maternità e dell’Infanzia (Onmi) tra il 1943 e il 1950, quando un decreto del presidente della Repubblica ripristinò l’amministrazione ordinaria. Non solo mancava di autonomia trovandosi sotto il controllo dell’Alto Commissariato per l’Igiene e la Sanità Pubblica, ma era gestita da Commissari straordinari spesso con incarichi di breve durata, mentre la sua azione era limitata. Soprattutto l’Onmi aveva la grande responsabilità di immaginare un nuovo inizio nell’ambito del contesto profondamente mutato del dopoguerra.
Molti erano allora gli interrogativi: che cosa innovare dopo la fine del confitto? Quale collocazione attribuire all’ente sul piano istituzionale? Quali funzioni avrebbe assunto dopo esser stata nel periodo fascista, almeno in gran parte, uno strumento di propaganda del regime? E soprattutto come avrebbe potuto rafforzare i diritti sociali di madri e bambini nell’ambito del complessivo sistema assistenziale della nuova Repubblica?
Questi e a molti altri problemi di quella fase storica sono affrontati nel volume di La Banca che non è soltanto un meticoloso lavoro di ricerca su uno degli enti più interessanti tra quelli nati in epoca fascista, ma un contributo fondamentale alla comprensione delle difficoltà, delle ambiguità, delle contraddizioni che hanno segnato la nascita e lo sviluppo del welfare state italiano.
L’assenza di un corpo unitario di documenti dell’Onmi, dovuta al mancato ritrovamento del suo archivio centrale, ha reso assai complessa la ricostruzione delle diverse fasi della sua storia sul piano nazionale. All’a. va dunque il merito non solo di essersi mossa abilmente nel difficile compito di ricomporre una documentazione frammentata servendosi di fondi pubblici e privati, ma di trattare un periodo spesso poco indagato dalla storiografia su questi temi: quello tra gli ultimi anni della guerra e le prime incerte fasi della Repubblica.
Ne esce un quadro assai ricco: dalle eredità liberali e fasciste, alla difficile ricollocazione dell’ente nella dialettica continuità-discontinuità tra regime e democrazia, al ruolo degli organismi internazionali e all’importazione di modelli anglosassoni, al protagonismo delle donne nella costruzione del nuovo Stato sociale e nelle nuove professioni (il social work in particolare), al difficile passaggio dall’assistenza fondata sulla carità a quella fondata sui diritti di cittadinanza. La parola chiave del volume è «transizione», un termine che l’a. riempie di significati e periodizza in quattro diverse fasi. Lo stile agile della scrittura ci conduce senza fatica nei complessi intrecci istituzionali e politici di una storia in cui si muovono uomini e donne, protagonisti di un’utopia: l’affermazione di uno Stato sociale moderno.
Un libro importante, dunque, che apre a ulteriori indagini su un periodo fondante del nostro welfare state mai pienamente realizzato.

Elisabetta Vezzosi