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William Gambetta – Democrazia proletaria. La nuova sinistra tra piazze e palazzi – 2010

William Gambetta
Parma, Punto Rosso, 276 pp., Euro 15,00

Anno di pubblicazione: 2010

Il libro narra la storia di Democrazia proletaria, rintracciandone le radici culturali e politiche nei primi anni ’60 all’interno dell’eterogeneo campo di forze della sinistra extraparlamentare. Il progetto di una formazione partitica di estrema sinistra che si ponesse alla sinistra del Pci si delinea con nettezza in occasione delle elezioni regionali del 1975, si rafforza durante le elezioni politiche del 1976 e diviene realtà nei giorni drammatici del sequestro Moro. A differenza degli effimeri tentativi degli anni precedenti, l’esperimento questa volta riesce per la lunga gestazione teorica, il coinvolgimento dei gruppi dirigenti di molte formazioni della sinistra extraparlamentare e il legame con minoritarie ma significative rappresentanze sociali, che vanno dalla classe operaia alla popolazione delle periferie delle grandi metropoli.Uno degli aspetti più interessanti del volume è l’attenzione che l’a. dedica alla dimensione antropologica, alla provenienza sociale e alla formazione politico-culturale dei quadri di Democrazia proletaria, intrisi della cultura del «lungo ’68», ma in continuità con le esperienze di lotta del movimento operaio storico. L’ambizione è quella di fare da ponte tra due mondi che la durezza del conflitto sociale e politico sembra aver diviso. Nel biennio 1977-1979, tale tentativo è messo alla prova dal confronto con i nuovi soggetti antagonisti nati durante la protesta del ’77 (e con la realtà sociale che essi esprimono), dalla contrapposizione alla lotta armata e dal tentativo di proteggere l’area dell’antagonismo sociale dalla indiscriminata gestione dell’ordine pubblico.In questo punto, il libro assume l’aspetto più originale e che al contempo pone più problemi alla storiografia sugli anni ’70. «Contro lo Stato, contro le Br», diviene lo slogan che sintetizza la strategia di Democrazia proletaria, rappresentando un salto di qualità rispetto a alle posizioni «neutrali» come quella di Lotta continua («né con lo Stato, né con le Br») o come quella dell’area dell’Autonomia operaia, in polemica con la dirigenza delle Brigate rosse, ma nel suo complesso non ostile ad una strategia di lunga durata di lotta armata. L’a., però, anche attraverso le testimonianze orali, ci mostra la varietà degli atteggiamenti nei confronti del nodo della violenza. Democrazia proletaria, infatti, non ne rifiuta l’impiego, predisponendo l’organizzazione di servizi d’ordine, da utilizzare anche in chiave offensiva.Ci spinge a riflettere, dunque, la netta contrapposizione di Democrazia proletaria al progetto brigatista, l’impiego del termine «terrorismo», utilizzato sia nei documenti che nei manifesti e negli slogan, e la lettura della lotta armata anche come fenomeno degenerativo, non alieno a commistioni e contaminazioni con la criminalità organizzata.In un momento in cui, diversi filoni storiografici (a volte contrapposti) tendono a convergere nel riconoscere la purezza «rivoluzionaria» dei gruppi armati di sinistra, a non porre alcuna distinzione teorica tra violenza politica e conflitto sociale, l’a. ci mostra come lo studio delle fonti nasconda una complessità e una diversità di posizioni che la ricerca storica non potrà in futuro non tenere in conto.

Guido Panvini