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Wolfgang Schivelbusch – La cultura dei vinti, Introduzione all’edizione italiana di Roberto Vivarelli – 2006

Wolfgang Schivelbusch
Bologna, il Mulino, XXVIII-370 pp., euro 25,00 (ed. or. Berlin, 2001)

Anno di pubblicazione: 2006

Schivelbusch è noto al lettore italiano per una Storia dei viaggi in ferrovia (Torino, Einaudi, 1988), per una dei generi voluttuari (Bari, De Donato, 1988) e per una dell’illuminazione artificiale (Parma, Pratiche, 1994). Il tema di questo suo più recente lavoro, tradotto dall’edizione americana del 2003 anziché da quella tedesca del 2001, è ben sintetizzato nel sottotitolo inglese (On national trauma, mourning and recovery), per scelta editoriale non tradotto: la sconfitta, e soprattutto il modo in cui i vinti (le nazioni e non gli individui) rielaborano il trauma e il lutto. Guerra, morte e rinascita, come dice l’autore nell’introduzione, fin dal mito di Troia, sono lemmi «ciclicamente legati tra loro» (p. 7), in tutte le culture. Schivelbusch mette alla prova questa ciclicità e sequenzialità su tre casi di sconfitta e rinascita e cioè quello del Sud degli Stati Uniti dopo la fine della guerra civile del 1861-65, quello della Francia dopo la sconfitta nella guerra con la Prussia del 1870-71 e quello della Germania dopo la Grande guerra. Ai tre casi, analizzati e rivisitati essenzialmente attraverso letteratura secondaria, Roberto Vivarelli, che introduce l’edizione italiana, ne aggiunge un quarto, quello italiano dopo l’8 settembre del ’43, in un appassionato saggio dal titolo Vinti e vincitori in Italia alla fine della Seconda guerra mondiale che da solo meriterebbe una recensione. Schivelbusch muove dall’idea che le guerre contemporanee (e le sconfitte), anche quelle ottocentesche che non possiamo ancora considerare compiutamente «totali», nella emergente società di massa abbiano comunque assunto «le dimensioni di una lotta darwiniana per la sopravvivenza nazionale» (p. 11). In un certo senso, l’idea di Schivelbusch è che le guerre dell’Ottocento abbiano cominciato ad essere «totali» quanto meno in termini psicologici per le ripercussioni che vittoria e sconfitta, ma soprattutto quest’ultima, hanno avuto sul fronte interno e che, nonostante le reazioni alla sconfitta abbiano assunto caratteri molto diversi da paese a paese, sia comunque possibile individuare «un insieme riconoscibile di modelli o di archetipi che si ripetono nel tempo e superano le barriere nazionali» (p. 15). La sequenza che l’autore illustra nell’ampia introduzione è quella che vede seguire alla sconfitta, la depressione, l’euforia spesso causata dalla rivoluzione che rovescia il vecchio sistema dopo la disfatta con la sua «aura liberatoria e salvifica» (p. 19), il risveglio alla dura realtà del confronto con il nemico esterno (specie se questi non si è dimostrato generoso nei confronti degli sconfitti), la convinzione che il nemico abbia usato mezzi illeciti per assicurarsi la vittoria, che il nemico sia un barbaro e che l’unica consolazione stia nella «fede nella propria superiorità culturale e morale» (p. 24), il desiderio della vendetta e l’elaborazione di piani di rivalsa e rivincita. Applicata ai tre casi studiati questa sequenza si complica e colora di sfumature restituendoci un libro di piacevole lettura e carico di suggestioni che mescola eventi e comparazione attingendo a piene mani all’armamentario della psicanalisi.

Daniela Luigia Caglioti