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Yehuda Bauer – Ripensare l’Olocausto – 2009

Yehuda Bauer
Milano, Baldini Castoldi Dalai, 384 pp., Euro 18,50 (ed. or. New Haven 2001)

Anno di pubblicazione: 2009

Scrive Bauer nel capitolo conclusivo che «Questo libro non è una commemorazione dell’Olocausto, ma pone domande su che cosa realmente avvenne e perché» (p. 299) e in effetti negli undici capitoli di cui si compone il libro, egli pone molte questioni. Una parte, per esempio, Bauer la dedica alla storiografia della Shoah, soffermandosi soprattutto sugli storici e le opere che negli ultimi trent’anni hanno segnato in maniera profonda e determinante la discussione. Hilberg, Browning, Bauman Goldhagen, Aly, Nolte, Friedländer sono alcuni degli storici che egli prende in considerazione. Salvo Hilberg – anche se secondo Bauer resta irrisolta la questione delle scelte attraverso le quali opera la burocrazia – e soprattutto l’ultima grande ricostruzione proposta da Friedländer (La Germania nazista e gli ebrei), egli critica sostanzialmente Bauman e soprattutto Goldhagen (I volonterosi carnefici di Hitler) per la sua tesi del processo intenzionalista, ma soprattutto si interroga sui motivi per cui quel libro abbia avuto un clamoroso successo di pubblico. Un libro che gli sembra non solo sbagliato, ma complessivamente liquidatorio della questione specifica della Shoah. Questo perché Bauer sostiene che il genocidio ebraico perseguito dal nazismo e su cui si interroga ampiamente e diffusamente nel capitolo 3 (Confronto con altri genocidi, pp. 63-96), riprendendo la categoria proposta da Friedländer («antisemitismo redentivo»), costituisce un fenomeno eccezionale rispetto alla versione canonica del genocidio. Il genocidio ebraico progettato e realizzato dal nazismo è ideologico, universale e radicale. Non si limita a un territorio o a un’area geografica e si fonda sull’identità per nascita del perseguitato. Riguarda «chi si è» non «cosa si fa». Secondo Bauer è questo aspetto che esprime il carattere «estremo» del genocidio ebraico rispetto ad altri genocidi (p. 76).Non meno problematiche sono altre due questioni proposte da Bauer. Da una parte i Consigli ebraici e più generalmente il comportamento degli ebrei prima della deportazione (pp. 157-233) che Bauer propone di analizzare con una categoria specifica che distingue dalla resistenza passiva: «Quando ci si rifiuta di opporsi alla forza bruta – afferma Bauer – non significa che si resiste passivamente, bensì si resiste rinunciando alla forza, il che non è esattamente la stessa cosa» (p. 158). Dall’altra l’analisi dell’interpretazione religiosa – soprattutto dei movimenti radical-religiosi ebraici (pp. 2324-264). Per Bauer la teologia non ha trovato una risposta all’indicibile tragedia e pur trattandosi di un mistero dal quale originano riflessioni profonde non è in grado di offrire alcuna «spiegazione».Infine Bauer si chiede se Israele sia una conseguenza dell’Olocausto (pp. 299-319). Una realtà che secondo Bauer nasce sulla spinta di ciò che fanno i sopravvissuti, quando all’indomani della liberazione scelgono di non tornare alle proprie case o, impossibilitati a ritornarvi, decidono che il luogo per una possibile rinascita è la Palestina.

David Bidussa