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Zaki Chehab – Hamas. Storie di militanti, martiri e spie, – 2008

Zaki Chehab
Roma-Bari, Laterza, XVIII-269 pp., euro 18,00 (ed. or. London, 2007)

Anno di pubblicazione: 2008

Il volume, scritto da un noto giornalista politico del mondo arabo, impegnato da tre decenni a seguire il conflitto israelo-palestinese, costituisce un’interessante e dettagliata analisi dell’evoluzione ideologica, politica e militare di Hamas. Ne vengono ripercorse le vicende, a partire dalla seconda metà degli anni ’70, quando il suo fondatore, shaykh Ahmad Yassin, diede vita al Raggruppamento islamico, passando per l’evoluzione militare in coincidenza con la prima Intifada, terminando con la progressiva ascesa a forza politica di primo piano, sancita dalla vittoria nelle elezioni parlamentari del gennaio 2006. L’a. attinge ad un cospicuo e prezioso materiale, le molte interviste effettuate nel corso degli anni della sua permanenza in Medio Oriente a tutti i principali esponenti di Hamas: da Yassin, al suo successore ‘Abd al-‘Aziz al-Rantisi, a Khaled Meshal, attualmente a Damasco, includendo molti altri protagonisti, appartenenti all’ala politica e a quella militare. Ne esce un quadro estremamente preciso di una realtà composita, al contempo associazione caritatevole, partito politico, organizzazione terroristica.Il volume ha il merito di mettere bene in luce due aspetti della storia di Hamas: da un lato, i rapporti con il governo israeliano, del tutto miope nel suo essere inizialmente favorevole alla diffusione di un’organizzazione islamista che veniva vista come rivale della laica e nazionalista Olp, capace di minarne il consenso nei territori palestinesi; dall’altro, le «relazioni internazionali» tra Hamas e i vari Stati della regione, caratterizzate da una crescente tensione con l’Egitto e la Giordania, indubbiamente preoccupati di una possibile ricaduta islamista all’interno dei propri confini, e da un progressivo avvicinamento a Siria e Iran, favorito dalla graduale tensione intercorsa tra Damasco, Teheran e la leadership dell’Olp.Molti sono però i limiti del libro. Innanzitutto, estremamente debole, per non dire assente, è il filo conduttore: non c’è nel volume una chiara struttura portante, e l’a. torna più e più volte sugli stessi episodi, appesantendo la narrazione e rendendo difficile la lettura. Icapitoli dedicati a due tra i più scottanti, quanto centrali, temi – i «collaborazionisti», e i «martiri» – sono estremamente superficiali e non presentano alcun tentativo di riflessione; la questione della diffusione del fenomeno degli attentati suicidi viene liquidata frettolosamente come conseguenza della «radicalizzazione» della popolazione palestinese a causa del comportamento israeliano (p. 112), senza alcun riferimento al ruolo del martirio nell’islam. Senza risposta, infine, i due interrogativi posti nel corso del volume: se la prima Intifada sia stata «innescata» da Hamas (p. 31), oppure questa si sia limitata a seguire la rivolta; e – questione ancora più rilevante in un’ottica di comprensione degli avvenimenti più recenti – se all’interno dell’organizzazione si stia affermando un’ala maggiormente pragmatica, realmente disposta ad un compromesso con Israele, oppure se l’ala militare, dopo la scomparsa di Yassin, abbia avuto la meglio e sia dunque lei a dettare l’agenda politica.

Arturo Marzano