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1914-1945. L’Italia nella guerra europea dei trent’anni

Simone Neri Serneri (a cura di)
Roma, Viella, 372 pp., € 33,00

Anno di pubblicazione: 2016

curato da Simone Neri Serneri raccoglie gli interventi di un convegno
del 2014 organizzato a Firenze dall’Istituto storico della Resistenza in Toscana con l’Insmli.
Come ben spiegato nell’Introduzione, le vicende italiane sono collocate all’interno
di «un conflitto che si accese innanzi tutto dentro le società del tempo, in ragione della
profonda crisi di legittimità maturata all’inizio del secolo ed esplosa nel 1914». La dimensione
internazionale dello scontro si saldò con il conflitto interno anche perché la politica
di potenza si declinava oramai «attraverso le istanze della politica di massa» (p. 10). La
dimensione totale della guerra e l’apparire della rivoluzione con i bolscevichi al potere
in Russia chiamavano in causa gli assetti su cui si era costruita la nazione nell’800, e il
fascismo appare qui nella sua dimensione, italiana e internazionale, di «progetto di una
società rappresentata come comunità in guerra e perciò organizzata attorno al primato del
comando, governata dalla forza delle armi, incardinata sul principio dell’antagonismo tra
amico e nemico» (p. 11).
La prima parte del volume ricostruisce il nesso tra la cultura della violenza nata nella
guerra (Flores), la violenza politica sviluppata dal fascismo (Albanese), la sua estensione
a livello europeo (Rodrigo) nel quadro della crisi dello Stato liberale ottocentesco dinanzi
agli interessi sociali organizzati (Fioravanti), le trasformazioni sociali ed economiche
dell’Europa (Lagrou) sino alla pretesa del fascismo di «organizzare» la nazione per la guerra
totale (Baldissara) in vista di uno scontro, non più «nazionale» ma imperiale (Gagliani)
rispetto al quale il fascismo rappresentò, ad esempio in campo coloniale, un modello da
imitare per il nazismo (Bernhard). A questa sfida gli antifascisti risposero ripensando i
loro paradigmi culturali, dalla democrazia (Santomassimo) alla nazione (Soddu), dal nesso
tra violenza e politica (Neri Serneri) alla riflessione sui sistemi totalitari (Bresciani).
Negli anni ’30 giunsero a compimento le spinte stabilizzatrici della «rivoluzione
passiva» seguita alla rottura del 1917 (Rapone), che incorporavano però il tema della
dimensione di massa e della complessità sociale della società industriale, come dimostra
il dibattito sul corporativismo (Gagliardi), la sua trasversale declinazione (Salvati), la necessità
per il fascismo di organizzare, sia pure in modo subalterno e punitivo, il «lavoro»
(Musso). Mentre la produzione di massa e il consumo si affermavano come tendenze
internazionali (Capuzzo), il regime si misurò quindi con tali problemi (Cavazza), non
esitò, specie in campo artistico, ad apparire come il portatore di una nuova modernità
(Carli). Ciò tuttavia senza rinunciare, dove considerato utile, alla tradizione, attraverso
l’appropriazione dell’eredità risorgimentale (Baioni) o con la convergenza con la Chiesa
cattolica, che guardò al regime in funzione sia antisovietica che antinazista sino a quando
gli Stati Uniti, nel corso della guerra mondiale, non emersero come interlocutore principale
(Ceci).

Tommaso Baris