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1914. Le Università italiane e la Germania

Giulio Cianferotti
Bologna, il Mulino, 192 pp., € 19,00

Anno di pubblicazione:

L’a., docente di storia del diritto all’Università di Siena e da tempo studioso di storia
delle università, non limita la sua analisi al 1914, ma ricostruisce i rapporti tra alta cultura
tedesca e italiana per tutto l’800 e, per la specifica storia del diritto, si proietta anche
negli anni del fascismo. La sintesi delle vicende ottocentesche non è semplice, ma l’a. la
conduce con una ricca bibliografia, che gli permette di ricostruire il rapporto tra studiosi,
favorito anche dalla scelta del governo italiano di adottare, per le sedi di alta cultura, il
modello tedesco della università humboldtiana, cioè luogo di insegnamento e ricerca;
contestualmente si affermava, in quasi tutte le discipline, il cosiddetto metodo tedesco,
cioè l’applicazione della scienza e della filologia alla ricerca.
L’alta cultura tedesca, come l’a. esemplifica in utilissime note, fu quindi alla base
della formazione di molti intellettuali italiani, grazie a soggiorni in Germania, borse di
studio e intensi scambi culturali; e così, per molte discipline, si formò una seria comunità
scientifica e nacquero vere e proprie amicizie tra docenti. All’inizio del ’900 l’attesa
dell’evento, «apocalisse della modernità», scrive l’a. sulla scia di Emilio Gentile, il nuovo
clima culturale e il nazionalismo crescente cominciarono a dividere gli intellettuali rispetto
al rapporto con la Germania. E così, nell’estate del 1914, anche gli universitari italiani
si trovarono a dover scegliere tra la fedeltà a un patrimonio culturale del quale fino ad
allora si erano nutriti e il clima ideologico antitedesco della lotta tra civiltà e barbarie. Le
facoltà divennero luogo di scontro tra interventisti e docenti, contestati perché considerati
filotedeschi.
Con la guerra il fervore ideologico antitedesco aumentò, sotto forma di scritti e interventi
in difesa degli interessi italiani dagli attacchi dei «barbari». Si passò così «da un fervido
ossequio germanico ad una ardente conversione antitedesca» (p. 151) con una «guerra degli
spiriti» particolarmente accesa nelle discipline del mondo classico, come dimostrano le vicende
di Ettore Romagnoli e Ettore Pais. Il primo, illustre grecista formatosi in Germania
alla scuola di Theodor Mommsen, nel 1917 pubblicò una raccolta di suoi articoli dal titolo
Minerva e lo scimmione (cioè la Germania filologica!), un testo definito da Benedetto Croce
una vera invettiva contro la filologia e contro la Germania (p. 152). Ma a volte il furore
ideologico serviva anche ad altro, come dimostra il caso di Pais, destinato a una brillante
carriera nel fascismo: pur essendosi formato agli studi classici in Germania, non solo egli
manifestò il suo antigermanesimo in numerose occasioni ma, nel 1917, dopo Caporetto,
non intervenne a favore di Julius Beloch, internato e privato definitivamente della cattedra
alla Sapienza, che nel 1918 fu affidata proprio a Pais, preferito a Gaetano De Sanctis, il quale
non aveva mai aderito alla campagna antitedesca.
Alla luce di queste brevi considerazioni, quindi, non vi è dubbio che il volume contribuisca
a colmare una lacuna per quanto riguarda i rapporti culturali italo-tedeschi durante
la prima guerra mondiale.

Alessandra Staderini