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1915: L’Italia va in trincea

Gastone Breccia
Bologna, il Mulino, 309 pp., € 24,00

Anno di pubblicazione: 2015

Il saggio di Gastone Breccia analizza l’impiego dell’esercito nel 1915, dalla offensiva
iniziale all’ultima di altre quattro. Se il movimento delle truppe nello spazio, come è noto,
non si realizzò, assume però altrettanta importanza un altro tipo di movimento, fatto di
corte e drammatiche avanzate e ritirate ripetute per giorni sullo stesso terreno.
Immobilità strategica e sterile dinamismo tattico a fine anno causarono 250.000
vittime tra morti, feriti e dispersi, senza che questo costo umano fosse ritenuto tanto
grave da determinare variazioni sensibili e soprattutto utili nei criteri di condotta e negli
obiettivi delle operazioni future. In primo luogo nell’azione di comando del generale
Luigi Cadorna, né a livello strategico né sul piano della tattica.
La strategia di Cadorna fu condizionata dagli squilibri creatisi sul fronte orientale,
che fecero il vuoto là dove doveva essere trovata la collaborazione con le forze russe, in considerazione
della quale erano stati fissati direttrici e obiettivi della guerra italiana. Puntare
ad arrivare a Lubiana e a Klagenfurt rese inoltre secondario il fronte trentino, luogo dal
quale, leggiamo, era possibile esercitare una minaccia strategica credibile con costi minori.
A causa dell’esito sfavorevole delle cinque offensive del 1915 si palesò però – rilevarlo è un
merito del saggio – la disponibilità da parte di Cadorna a variare i criteri da seguire nelle
offensive seguenti. Alle disposizioni per il raggiungimento di posizioni vantaggiose sulle
quali attendere l’attacco nemico questi fece, infatti, seguire, in alternativa, quelle per la
creazione di una zona dove inchiodarlo al solo scopo di logorarne le forze e, infine, impose
come criterio la necessità di cogliere il punto critico nel quale interrompere l’azione al fine
di recuperare le forze e preparare la battaglia seguente. Disposizioni, queste, significative
per l’emergere in Cadorna di un’attitudine critica positiva, indipendentemente dal valore
delle soluzioni proposte, a confronto con quella inesistente mostrata a livello tattico,
condannata per l’applicazione ripetuta di criteri che per mesi si rivelarono fallimentari.
Criteri forse validi per le guerre preparate nei quaranta anni precedenti ma non in quella
del momento. Cadorna ne era cosciente, esprimeva rammarico, condannava quel conflitto
«infame» (suo l’aggettivo), ma non trovava motivo per introdurre cambiamenti nelle
tecniche di attacco e di assalto che riteneva pericolosi per la tenuta dei reparti, anche se
avrebbero consentito di sfruttare la forte superiorità numerica sull’avversario.
Leggiamo dunque la storia di una sconfitta? L’a. dice di no perché la fase iniziale
della guerra portò, anni dopo, alla vittoria dopo prove e momenti che potevano essere
fatali, anche nel 1915.
Una considerazione, infine, sui pregi della scelta delle fonti. Assume rilievo essenziale
nel saggio di Breccia lo spazio dato a ordini scritti e ai rapporti degli ufficiali in comando,
documenti che consentono una non consueta visione critica delle condizioni reali
nelle quali si consumò l’esperienza di combattimento di soldati e ufficiali, assumendo più
volte un valore paradigmatico.

 Fortunato Minniti