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Alla ricerca di una più perfetta Unione. Convenzioni e Costituzioni negli Stati Uniti della prima metà dell’800

Cristina Bon
Milano, FrancoAngeli, 291 pp., € 35,00

Anno di pubblicazione: 2012

Cristina Bon tratta un argomento talmente arcano per la nostra storiografia da parere irrilevante; ma tale non è, e non lo è oltreatlantico dove si ritiene necessario rivolgersi al livello statale per comprendere il senso del costituzionalismo americano, che non si esaurisce nel potere costituente nazionale, nel judicial review o nel côté nazionale del federalismo. Oggetto dell’opera è uno dei due strumenti di revisione costituzionale fissati dall’art. V della Costituzione del 1787, la convenzione statale. Un istituto mai usato per emendarla; ma a cui spesso si è fatto ricorso per modificare le Costituzioni degli stati, dove pure è previsto, anzi, dove nacque in età rivoluzionaria prima di comparire nel testo federale. Bon centra perfettamente il significato della convenzione quando scrive che vi si deve vedere la volontà di «istituzionalizzare» la rivoluzione, di mettere a punto uno strumento che consente al popolo di esprimersi e risolvere problemi politici fondamentali senza sovvertire il sistema. L’a., tuttavia, intende fondare la teoria nella storia e si sposta su questo terreno per seguire il tema delle convenzioni statali nel Sud fino allo scoppio della Guerra civile attraverso i case study della Virginia e della Georgia.
L’esame storico delle varie convenzioni costituzionali consente di dar loro concretezza ed evidenzia il nesso fra questioni politiche legate alle trasformazioni socioeconomiche delle diverse regioni degli Stati e problemi costituzionali relativi sia alla rappresentanza – in lenta trasformazione dalla tradizione corporate per contee a quella proporzionale alla popolazione –, sia alla fiscalità. Temi che rischiavano di far saltare l’unità statale e che impattavano sulla schiavitù per il peso assegnato nel 1787 agli schiavi nel calcolo della popolazione ai fini della rappresentanza e in quello del loro valore per la tassazione. Problemi che portarono al distacco della West Virginia dalla Virginia al momento della secessione; mentre la loro soluzione convenzionale portò la Georgia a una scelta secessionista senza fratture. Il nesso fra scontri costituzionali e problemi politici degli Stati o nazionali – il volume tratta lucidamente anche la Nashville convention degli stati del Sud che nel 1850 giunse a un passo dalla secessione sulla questione della schiavitù nei territori strappati al Messico – costituisce il nucleo, complesso, ma lucidamente trattato, del volume. Meno utile, invece, perché schematica, è la ricostruzione della genealogia concettuale della convenzione, fatta, mi pare, per un eccesso di scrupolo teorico. Il tema del compact è infatti talmente enorme che non basta un capitolo sulle sue origini calviniste e zwingliane e su Althusius per collocarvi correttamente l’istituto americano della convenzione. Il rischio è di mettere assieme elementi, religiosi e non, la cui filiazione l’uno dall’altro è difficile da provare e va seguita per strade indirette. Il libro, comunque, resta solido e valido.

Tiziano Bonazzi