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Roma sovversiva. Anarchismo e conflittualità sociale dall’età giolittiana al fascismo (1900-1926)

Roberto Carocci
Roma, Odradek, 349 pp., € 24,00

Anno di pubblicazione: 2012

Nonostante l’assenza di un solido tessuto industriale e di una classe operaia coesa, si poteva sospettare che la Roma a cavallo fra i due secoli, figlia dell’espansione demografica e urbana derivante dall’edificazione della città capitale, fosse comunque – e a dispetto di certe apparenze – una realtà tutt’altro che pacificata, brulicante di inquietudini sociali e di potenzialità sovversive. Episodi come quelli dei gravi scontri di piazza Santa Croce in Gerusalemme del 1° maggio 1891, ricostruiti in un lontano e significativo articolo di Luciano Cafagna del 1953, ne avevano del resto offerto una tangibile testimonianza. Al di là di alcuni notevoli affondi episodici come quello di Cafagna, mancava però sul tema un organico studio di insieme. Il documentato volume di Carocci, rielaborazione di una tesi di laurea, contribuisce a colmare questa lacuna, ripercorrendo le vicende delle classi subalterne romane dagli anni di fine secolo fino al consolidarsi della dittatura fascista. Centro di attrazione di un proletariato sradicato e fragile, fatto di mille e stratificati mestieri, spesso in bilico fra lavoro e disoccupazione, la Roma di inizio secolo, come illustra l’a., si prestava per caratteristiche proprie a meglio favorire la crescita politica del movimento anarchico rispetto a forze che si richiamavano all’approccio socialista. Il movimento libertario rimase così a lungo una presenza ragguardevole della vita sociale della capitale: dal vivace reticolato di circoli politici d’età giolittiana, passando per le vicende e i successi dell’anarcosindacalismo, fino all’esperienza degli Arditi del popolo, in cui gli anarchici giocarono un ruolo determinante e che proprio a Roma e nei suoi quartieri popolari ebbe il proprio centro d’irradiazione. Ma proprio i parziali successi dell’arditismo popolare, che fecero di Roma una delle poche città italiane capaci di resistere con efficacia allo squadrismo, furono l’ultimo significativo atto del lungo ciclo espansivo dell’anarchismo romano che con l’avvento del fascismo finì rapidamente per essere ridotto all’inazione.
Assai documentato, attraverso un sistematico spoglio delle fonti d’archivio e della stampa anarchica, il libro si presenta scritto in maniera fluida e chiara, soprattutto se si considera che siamo di fronte alla monografia di esordio di un giovane autore. Non manca nel testo una sufficiente sensibilità alle ragioni della storia sociale, con richiami alla particolarità del tessuto socio-economico romano e alle specifiche condizioni materiali dei suoi lavoratori. Interessante ancora è il recupero di tutta una serie di rilevanti figure minori che animarono la scena del locale anarchismo e ne testimoniano al contempo la matrice fortemente e schiettamente popolare. Qualcosa si sarebbe forse potuto pretendere da questo lavoro anche sul terreno dell’analisi culturale, approfondendo la peculiare mentalità, nonché le modalità di ricezione dell’ideale anarchico, dei militanti di questa ricca e singolare colonia, a oggi poco conosciuta, di quella galassia geograficamente e socialmente composita che fu l’anarchismo italiano.

Marco Manfredi