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1943-1945: i «bravi» e i «cattivi». Italiani e tedeschi tra memoria, responsabilità e stereotipi

Massimo Castoldi (a cura di)
Roma, Donzelli, 110 pp., € 24,00

Anno di pubblicazione: 2016

Gli ultimi anni della seconda guerra mondiale, e in particolare le dinamiche sviluppatesi
in Italia tra il 1943 e il 1945 con la caduta del fascismo, l’occupazione tedesca e la
formazione della Repubblica sociale, rappresentano temi molto dibattuti da quella storiografia
attenta e sensibile alle relazioni e alle reciproche percezioni tra italiani e tedeschi.
L’agile volume curato da Castoldi si inserisce a pieno titolo all’interno di tale filone di
studi, affrontando inoltre, soprattutto nell’Introduzione, il tema sempre spinoso e controverso
dell’elaborazione di una memoria condivisa e consapevole intorno agli ultimi anni
di guerra.
I cinque saggi del volume offrono al lettore una sintesi ragionata dello stato dell’arte
e dei nodi storiografici gravitanti perlopiù intorno alla genesi e alla straordinaria vitalità
dello stereotipo del «bravo» italiano e del «cattivo» tedesco. Si tratta, come è noto, di quella
consapevole rielaborazione manichea della seconda guerra mondiale, con i suoi eccessi
e i suoi orrori, in cui la colpevolizzazione esclusiva era fatta ricadere sulla Germania e sui
tedeschi, i «cattivi», mentre il soldato italiano e il popolo italiano, i «bravi», spiccavano
per bonomia, sostanziale pacifismo ed entrambi – soldati e popolazione civile – erano
presentati come vittime del fascismo, un regime, questo, che a differenza di quello nazista
non era riuscito a realizzare alcun connubio con il suo popolo.
Ogni contributo costituisce dunque una sintesi matura e di alto profilo da parte di
storici impegnati da anni su questi temi. Il primo saggio, scritto da Altmeyer, ricostruisce
il lungo processo, che ha coinvolto istituzioni e società civile, di individuazione e di
conservazione dei siti dei crimini nazisti in Germania per trasformarli in «luoghi della
memoria». Focardi e Ganapini, invece, ricostruiscono e discutono l’origine del mito che
dà il titolo al volume, l’uso politico di tale stereotipo nell’Italia repubblicana e l’inconciliabilità
delle memorie intorno alla cesura dell’8 settembre. Raoul Pupo, analizzando le
complesse vicende del confine orientale italiano, mostra come proprio tale caso di studio
sia in grado di scardinare i diversi apparati mitologici elaborati a partire dallo stereotipo
dei «buoni» e dei «cattivi». Paolo Jedlowski, infine, affronta, da una prospettiva sociologica
ma diacronica, il tema della costruzione di una memoria pubblica e «autocritica» della
seconda guerra mondiale in Italia e nella Repubblica Federale.
Se dunque la ricerca storica in entrambi i paesi ha oramai da anni demolito tali miti,
ricostruendone la genealogia, ciò che ancora sussiste, soprattutto in Italia, è lo scarto tra la
«consapevolezza di pochi addetti ai lavori e la grande incertezza della maggior parte della
popolazione» (p. X). A giudizio del curatore tale scarto sembra senza dubbio ascrivibile
alla politica, che non appare intenzionata a rinunciare alle strumentalizzazioni degli eventi
verificatisi tra il 1943 e il 1945.

Filippo Triola