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1945. La transizione del dopoguerra

Guido Formigoni, Daniela Saresella (a cura di)
Roma, Viella, 307 pp., € 32,00

Anno di pubblicazione: 2017

Transizione è la parola chiave di questa raccolta che vorrebbe aiutare a superare un
settantennio di letture sull’impatto della Resistenza sulla storia d’Italia, oscillanti tra enfatizzazioni
del suo carattere di rottura e ipotesi continuiste proposte anche da opposte
tendenze culturali e politiche. Un quadro complesso che ricorre in molti dei saggi del
volume, utile a sottolineare il legame delle interpretazioni della Resistenza con le diverse
fasi del dibattito politico in Italia, almeno fino a che ha retto il sistema dei partiti nato e
legittimato proprio da quell’esperienza.
Tra gli anni ’90 e il XXI secolo avviene il divorzio tra mitologie di fondazione della
Repubblica e strategie politiche dei partiti. Necessariamente lo sguardo della storiografia
italiana si è sollevato oltre l’orizzonte nazionale, come sostiene Flores in apertura. Lo schema
dicotomico della guerra fredda si dilata anche a causa della decolonizzazione, capace
di «influenzare i comportamenti delle superpotenze, divenendo così un elemento nuovo
e aggiuntivo» (p. 21), che invalida anche l’orizzonte eurocentrico o atlantico-centrico per
la comprensione della storia italiana. Tale ipotesi di lavoro ricorre ancora nel saggio di De
Bernardi che compara i retaggi delle politiche anticrisi elaborate dalle dittature e dalle
democrazie negli anni ’30.
Per Formigoni, che studia il rapporto tra politica interna ed estera, si passa dalla
guerra civile degli anni ’30 e ’40 alla «stabilità inquieta» (p. 69) del dopoguerra, anche
qui frutto di lunghe transizioni (politiche, economiche, sociali) che collocano il paese
nell’ambito di «sistemi» internazionali.
Il concetto di transizione si rivela proficuo nei contributi di Pombeni, che analizza le
culture politiche, o di Onida, che torna sul cruciale tema delle culture alla base della Costituzione.
Non c’è spazio sufficiente per accennare a tutti i contributi, che specialmente del
caso di studiosi noti, come quelli già citati, o come Pezzino, Giovagnoli, Moro rivedono il
paradigma interpretativo, o come di Gribaudi, unico caso in cui si analizza l’Italia meridionale,
spesso assente dalle ricostruzioni a scala nazionale del periodo in questione.
La seconda parte s’incentra tutta sul tema dei ritorni (degli ebrei deportati, Vecchio)
e delle incomprensioni, del destino dei collaborazionisti (Cuzzi), delle epurazioni tentate,
delle pacificazioni. Ancora, la dimensione internazionale e comparativa è presente con
notevoli vantaggi per la comprensione e contestualizzazione delle vicende italiane.
Il tema della transizione è riproposto nel contributo di Piazzoni sulle iniziative editoriali
dell’immediato dopoguerra influenzate da un filone culturale che potremmo chiamare
crociano, mai completamente zittito durante il fascismo, accanto a temi e orientamenti
nuovi. Opportunamente chiude il volume un denso contributo di Focardi sull’uso pubblico
della storia della Resistenza negli anni della crisi dei partiti. Ai tentativi di alcune forze politiche
di sostituire il 25 aprile con altri riferimenti ritenuti più adatti per la «nuova» Repubblica,
si sono opposte ragioni forti che ne hanno confermato l’importanza.

Rosario Mangiameli