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Giuseppe Toscanelli. “Er deputato dei pontederesi”

Danilo Barsanti
Pisa, ETS, 165 pp., € 15,00

Anno di pubblicazione: 2013

Non inganni l’espressione dialettale del titolo, perché Toscanelli ebbe una dimensione
nazionale. L’ampia ricerca, che si fonda su una buona base documentaria e ha alle
spalle studi sul contesto familiare e sul notabilato pisano, illustra bene il tema del potere
tra l’ambito locale e quello italiano e descrive il percorso esemplare di un combattente di
Curtatone e di Venezia, progressivamente inserito nella vita politica. Tre elementi appaiono
determinanti: il patrimonio patriottico degli esordi con l’esilio a Torino; la familiarità
con il cognato Peruzzi, sposo della famosa sorella Emilia, e con Ricasoli; il rapporto con
un collegio elettorale, Pontedera, periferico ma importante. Anche Pisa contò perché era
il centro della consorteria affaristica, ma Pontedera era la garanzia della posizione parlamentare.
Ciò spiega almeno una parte delle «stravaganze parlamentari», per il dialogo
con gli influenti «padri di famiglia affezionati alla Chiesa cattolica» (p. 96). Si debbono
probabilmente a questo la posizione favorevole alla Chiesa assunta nel 1865, che lo fece
considerare un deputato clericale, e l’opposizione al trasferimento a Roma della capitale
nel 1870, con un atteggiamento tutt’al più favorevole a Roma «città libera con l’alta sovranità
del Pontefice» (p. 97). Prima in conflitto con Depretis, accusato di ingerenze verso
la magistratura, favorevole al governo Cairoli nel 1878, perfino con qualche segno di
tolleranza verso gli internazionalisti, fu costretto a riposizionarsi dopo l’allargamento elettorale
del 1882 che fondeva i collegi elettorali del pisano, rompendo gli equilibri del suo
gruppo di potere. Eletto sposando il programma di Stradella, tornò presto filo-clericale,
battendosi nel 1884 per la sopravvivenza della congregazione Propaganda Fide (p. 103).
Nel 1887 combatté il progetto di codice penale Zanardelli perché poco rigido verso la
delinquenza comune, troppo aperto sugli scioperi e sul diritto di associazione utile agli
anarchici ma, soprattutto, troppo severo con gli organismi clericali. Contrario nel 1887
all’autoritarismo e al colonialismo di Crispi, difese i diritti ecclesiastici fin quasi alla vigilia
delle elezioni del 1891. Dovette, però, avvicinandosi il voto, cogliere un mutamento
di sensibilità nel suo elettorato, compiendo un clamoroso rovesciamento di fronte con
il libretto Religione e patria osteggiate dal Papa. L’Italia si deve difendere, in cui attaccava
pesantemente Leone XIII, che «scristianeggia[va] l’Italia e combatte[va] la stessa esistenza
dello Stato» (p. 108), e il Non expedit, la «più irreligiosa e anticattolica» delle formule (p.
110). Era ormai divenuto un deputato di Crispi e fu rieletto, morendo tre mesi dopo le
elezioni. Il bilancio che, di Toscanelli, compie Barsanti si basa sulla ricca mole di documenti
raccolta e sull’esame della tante pubblicazioni elencate in appendice, e dà conto di
una singolarità politica, ma soprattutto dei caratteri fondamentali di un notabilato che il
sistema elettorale pre-giolittiano favoriva, in un sofisticato sistema di rapporti tra il centro
e la periferia, di cui il collegio locale costituiva il baricentro.

Fabio Bertini