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Di roccia e di ghiaccio. Storia dell’alpinismo in 12 gradi

Enrico Camanni
Roma-Bari, Laterza, 269 pp., € 18,00

Anno di pubblicazione: 2013

Il volume, scritto da uno dei più importanti giornalisti di montagna italiani e destinato
a un pubblico non specialistico, si caratterizza per un linguaggio fluido, scorrevole
e privo di tecnicismi, e per uno stile del tutto antieroico e antiretorico. Alternando parti
narrative a paragrafi di sintesi, i capitoli brevi e ordinati cronologicamente presentano una
serie di biografie di alpinisti e di salite esemplari, capaci di rendere l’evoluzione diacronica
della pratica dell’alpinismo dalle origini fino ad oggi, sia nei suoi aspetti tecnici che nelle
sue implicazioni storiche e culturali. Sin dalle citazioni iniziali spicca tuttavia negativamente
l’assenza di note correlate al testo, fatto che – nonostante la ricca bibliografia finale
– rende il volume in qualche modo lacunoso, disincentivando tanti approfondimenti e
possibili nuove letture. I primi capitoli, classificati dall’a. «a grado zero» o «fuori scala»,
e riferiti alle salite del Mont Ventoux da parte di Francesco Petrarca (1336), del Rocciamelone
con Bonifacio Roero d’Asti (1358) e del Mont Aiguille con Antoine de Ville
(1492), attestano finalmente l’estraneità di questi eventi alla pratica alpinistica, facendo
piazza pulita delle lunghe parti introduttive di tante storie dell’alpinismo. Dato l’impianto
del volume e la necessaria e voluta incompletezza e arbitrarietà di alcune scelte operate
dall’a., sono in assoluto prevalenti le salite su roccia rispetto a quelle su ghiaccio. Più in
generale, rispetto ad altri gruppi montuosi, predominano le scalate effettuate sulle Alpi,
«crocevia internazionale di scuole e stili a confronto» (p. X). È interessante che, pur seguendo
un ordine cronologico, l’a. riesca bene a dimostrare come la storia dell’alpinismo
non abbia affatto seguito una direzione lineare e progressiva, e che l’andare per monti si
svolga storicamente lungo una linea sinusoidale che ha alternato negli anni conservazione
e progresso. Se la voluta selettività è indispensabile in un racconto costruito inserendo
una serie di salite esemplari, risulta originale la selezione dei nomi, sia per alcune assenze
significative (fra tutti Hermann Buhl e Walter Bonatti, solo citati), sia per un’equilibrata
considerazione del ruolo delle donne alpiniste: «Si incontrano rare protagoniste, e sono
quasi sempre personaggi eccezionali […]; le donne che si sono cimentate sulle grandi pareti
con le giuste motivazioni hanno recentemente mostrato che lo svantaggio è minimo,
e può essere colmato» (p. XIII). La tesi di fondo del volume è che i limiti di volta in volta
superati dagli alpinisti sono sempre stati soggettivi, in quanto imposti dai mezzi tecnici a
loro disposizione, dal contesto storico, economico e sociale in cui sono vissuti, dalla loro
cultura, dalla loro capacità. Appare in più passaggi evidente che secondo l’a. l’alpinismo è
soprattutto una travolgente passione, una forte idealità che nasce nell’animo dell’uomo e
lo spinge a scalare le montagne senza un’apparente ragione, se non quella della ricerca che
aveva guidato Ulisse a varcare le Colonne d’Ercole.

Stefano Morosini