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Marzo 1943, “un seme della Repubblica fondata sul lavoro”

Roberto Finzi
Bologna, Clueb, 156 pp., € 14,00

Anno di pubblicazione: 2013

A 70 anni dagli scioperi del marzo 1943 e a circa 40 dalla ricerca che dedicò all’argomento,
Roberto Finzi – storico della società e del pensiero economico, studioso versatile
di ben nota caratura – è tornato «sul luogo del delitto», rivisitando il suo lavoro di allora
e sottoponendolo a vaglio critico, anche sulla scorta dei contributi apparsi nel frattempo.
Quella di Finzi è dunque «una rilettura del ruolo storico» di quegli scioperi (pp. 9-10),
della funzione che ebbero nelle vicende successive, dalla caduta del fascismo alla nascita
della Repubblica. L’a. sottopone a verifica quello che definisce «il canone», ossia la lettura
storiografica prevalente, che sottolinea «il ruolo decisivo della organizzazione» negli scioperi
del ’43, e nello specifico il ruolo dell’organizzazione clandestina del Pci (p. 21). Di
qui una sorta di «mito positivo» creatosi attorno all’evento, l’idea della «scossa fatale» data
dalla protesta operaia (p. 23).
Alla luce della documentazione d’archivio, e confrontandosi con gli studi di storici
non sempre «simpatetici» nei confronti dell’argomento, da Renzo De Felice a Tim Mason,
Finzi riscontra però che la lettura consolidata «regge», e che sono invece alcune delle
diatribe storiografiche successive – mobilitazione politica o indotta da motivi economici?
iniziativa spontanea o organizzata dai comunisti? – a mostrare la corda, tenendo poco
conto dell’ovvia dialettica tra gli elementi citati. La stessa documentazione raccolta da De
Felice conferma che almeno dal 1942 «l’odio per il nemico [era] stato sostituito dall’odio
verso il Regime» (p. 39) e che le condizioni dei lavoratori erano ancora peggiorate, il
terreno era dunque fertile. E tuttavia occorreva qualcuno che accendesse la miccia, organizzasse
l’azione e facesse circolare le informazioni: il dibattito tra i dirigenti comunisti
sulle modalità più adatte per avviare la mobilitazione (p. 66) conferma il ruolo della
soggettività politica nello svolgersi degli eventi. Quanto alla natura dello sciopero, se i
fattori scatenanti furono di tipo economico-rivendicativo, è difficile separare tale spinta
da quella politica. «Anche se non si grida “pace!” – osserva l’a. – di fatto ci si oppone allo
stato di guerra» e al regime che l’ha voluta (p. 57). E non a caso Mussolini vede il paese
«ripiombare di colpo venti anni addietro» (p. 58), a prima cioè che il fascismo distruggesse
le organizzazioni del movimento operaio.
Certo, sottolinea Finzi, il «canone» non ha evidenziato a sufficienza la natura unitaria
della protesta – essa stessa peraltro una scelta politica –, il contributo dei socialisti, «il
ruolo determinante» delle donne (p. 54). Quanto al ruolo storico degli scioperi, con essi
i lavoratori, che le forze conservatrici avrebbero voluto inerti e passivi, entrano con forza
nella dinamica degli eventi, ponendo le basi di quell’intreccio «inestricabile» tra azione di
massa e lotta partigiana (p. 103) tipico della Resistenza italiana, e al tempo stesso – come
scriverà Pajetta – gettando «un seme della Repubblica fondata sul lavoro» (p. 30).

Alexander Höbel