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Il cattivo tedesco e il bravo italiano. La rimozione delle colpe della seconda guerra mondiale

Filippo Focardi
Roma-Bari, Laterza, 288 pp., € 24,00

Anno di pubblicazione: 2013

Vent’anni dopo Il mito del bravo italiano di David Bidussa, questo importante libro
ricostruisce i discorsi e le narrazioni che hanno contribuito a creare il mito dell’italiano individuandone
e studiandone i soggetti e gli specifici contesti di produzione, i loro metodi
e scopi tra guerra e immediato dopoguerra. Nelle «narrazioni egemoniche» dell’esperienza
bellica, la memoria collettiva tese a discolpare gli italiani dal ruolo di violenti aggressori
e occupanti, convinti alleati della Germania nazista, responsabili di crimini di guerra, e
a rappresentarli come colonizzatori benevoli, protettori di ebrei, vittime degli ex alleati
nazisti e della «brutale amicizia» tra Mussolini e Hitler. Questi supposti comportamenti
furono inoltre naturalizzati per attribuirli a un immaginario carattere nazionale italiano
pacifico e generoso, contrapposto a uno tedesco pensato invece come sempre aggressivo
e violento. Ma le autorappresentazioni individuali e collettive degli italiani avevano delle
precise finalità: quelle di riposizionare tra le democrazie occidentali l’Italia uscita sconfitta
dalla guerra e di scagionarne la classe dirigente militare, ma anche statale e politica (tranne
poche eccezioni, Mussolini in primis) dalle responsabilità nel conflitto e più in generale
nel ventennio fascista.
L’a. mostra come queste rappresentazioni furono il frutto di uno sforzo e di una
precisa azione documentaria e memorialistica di diplomatici, vertici militari, ex gerarchi;
ma anche – con intenti diversi – di un impegno degli Alleati, che già nel corso della guerra
tentarono strategicamente di distinguere le responsabilità del popolo italiano da quelle del
duce per ottenerne il disamoramento e il distacco dal regime. E delle stesse forze antifasciste
che intendevano rifondare e riunificare la nazione evitando gravi lacerazioni e scontri
e assecondandone quindi amnesie e amnistie.
Raccogliendo i frutti di un’intensa stagione storiografica su colonialismo, politiche
di occupazione nei Balcani, ruolo nella deportazione degli ebrei e collaborazione o meno
in quest’ambito con l’alleato nazista, l’a. è in grado di confrontare comportamenti e responsabilità
storiche accertate con le rappresentazioni apologetiche. Ci ricorda ad esempio
che gli italiani non solo si ritirarono sconfitti dalla Russia, ma inizialmente e per
quasi tre anni ci andarono da invasori e conquistatori dello «spazio vitale» e da costruttori
del «nuovo ordine europeo»; che essi misero a ferro e fuoco parti della Slovenia e della
Croazia nella lotta antipartigiana dietro precisi ordini e strategie militari di pacificazione
e sopraffazione; che talora non consegnarono ai nazisti gruppi di ebrei sulla base non di
finalità umanitarie, ma della rivendicazione della propria sovranità e indipendenza di
azione bellica. All’indomani del 1943-1945 l’Italia poté riunirsi attraverso un «patriottismo
espiativo» che le consentiva di immaginarsi vittima della guerra e di Mussolini;
ma ancora oggi un plebiscito collettivo a favore della memoria – e non dell’oblio – delle
nostre responsabilità nella guerra e nel fascismo pare lontano.

Simon Levis Sullam