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Una storia senza eroi. Ettore Reina e il sindacalismo riformista nell’Italia giolittiana

Claudio Gambini
Milano, Edizioni Punto Rosso, 210 pp., € 12,00

Anno di pubblicazione: 2013

L’attività politico-sindacale di Reina e il sindacalismo riformista, dalla fine dell’800
alla Grande guerra, sono al centro del volume. Dopo il lavoro di Longoni, il libro ha il
pregio di far emergere dalla «penombra storiografica» in cui era confinata, come sottolinea
nell’introduzione Cordova (p. 10), la figura di un leader operaio e socialista, dirigente
di primo piano della CgdL sin dal 1906. Nella prima parte, a partire dal confronto con
la letteratura sul tema e attraverso gli scritti, gli interventi e gli articoli di Reina, l’a.
ripercorre quella che sin dal titolo definisce, prendendo a prestito le parole di un sindacalista
dell’epoca, «una storia senza eroi», in cui «i capi dei sindacati sono singolari tipi
di condottieri» (p. 17). Orfano, educato tra i martinitt, parte dell’aristocrazia operaia (la
categoria dei tipografi), Reina entra in contatto con l’ambiente del socialismo riformista
turatiano della Milano dei primi del ’900 e ne abbraccia gli ideali. Segretario della Camera
del lavoro di Monza (una delle principali realtà industriali) dal 1898, nel 1901 dirige
la Federazione dei cappellai ed è tra i protagonisti della riorganizzazione del movimento
operaio e contadino. Dal 1902 è membro del Segretariato Centrale della Resistenza,
primo tentativo di coordinamento nazionale delle strutture sindacali nella fase in cui si
consolidava la cultura del sindacalismo riformista. Relatore dell’o.d.g che porta alla costituzione
della CgdL, entra nel direttivo fino alla dissoluzione del ’27, impegnandosi per le
riforme e la legislazione sociale in difesa del lavoro. L’a. si sofferma su quella che ritiene
la cifra dell’agire politico e sindacale di Reina, un riformismo che «non si configura come
una dottrina, ma come una prassi politica che nasce dall’esigenza di adattare un’idea di
socialismo alle particolari condizioni di un Paese arretrato con forti squilibri interni» (p.
14). Da qui deriva la sua costante attenzione per le riforme e lo sviluppo di un’azione
sindacale che privilegia l’arbitrato e l’accordo come strumenti di direzione e controllo
dell’azione rivendicativa, in contrapposizione con la cultura del sindacalismo rivoluzionario,
da cui si distanzia anche per la concezione dei rapporti con lo Stato, da conquistare
e modificare gradualmente. A questo aspetto è dedicata la seconda parte del volume, in
cui si ricostruisce l’attività svolta da Reina nel Consiglio Superiore del lavoro dal 1903
al 1913. Di grande interesse sono le pagine dedicate alla disciplina dei contratti e delle
condizioni di lavoro, alla legge a tutela delle donne e dei fanciulli, alle assicurazioni sociali
e agli istituti di conciliazione. Un importante elemento di analisi è il rapporto dualistico
e conflittuale fra sindacato e partito, con riferimento alla proposta di creare un partito del
lavoro di stampo tradunionista, da cui emergono le profonde contraddizioni interne alla
galassia del riformismo di inizio ’900, che non riuscirono ad affrontare le trasformazioni
politico-sociali degli anni ’10 e a contrastare l’ascesa delle correnti rivoluzionarie.

Maria Paola Del Rossi