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Lehmann La guerra dell’aria. Giulio Douhet, stratega impolitico

Eric Lehmann
Bologna, il Mulino, 226 pp., € 20,00

Anno di pubblicazione: 2013

Al centro del volume di Lehmann è la convinzione che sia la vita personale sia le
riflessioni teoriche del generale italiano non siano ben conosciute, nonostante la notorietà
dell’autore de Il dominio dell’aria. In effetti, l’attenta ricostruzione delle vicende
di Douhet fa pulizia di molti miti e leggende e ci offre un’utile ricostruzione del suo
percorso biografico. L’attenzione all’incontro di Douhet con l’aviazione rappresenta forse
la parte più interessante del volume, aiutandoci a capire in che modo un militare con
una formazione tradizionale, provenendo dall’artiglieria arrivasse a individuare nell’aeronautica
l’arma decisiva di risoluzione delle guerre future. Ciò avvenne grazie al rapporto
sviluppato con l’ingegnere e costruttore Gianni Caproni, che si consolidò con la Grande
guerra. Fu durante lo svolgimento di quel conflitto che Douhet ipotizzò la centralità
della guerra aerea, superando la precedente visione strategica basata sulla fanteria e sulle
necessità di concentrare in un unico punto le truppe di terra in vista dell’assalto decisivo.
Ciò avvenne tuttavia senza capire fino in fondo le nuove caratteristiche della guerra totale,
da cui derivava l’idea che la superiorità dell’aviazione, colpendo popolazioni e città
nemiche, potesse risolvere in brevissimo tempo il conflitto. A questa visione il generale
italiano rimase fedele anche nel dopoguerra, cercando di spostare sulle sue posizioni i
vertici fascisti. Con il movimento mussoliniano Douhet ebbe un rapporto privilegiato,
come dimostra la subitanea collaborazione con il «Popolo d’Italia», e il lungo successivo
scambio epistolare con Mussolini. Al duce non smise mai di chiedere la riorganizzazione
autonoma dell’aviazione militare, ovviamente sotto la proprio guida: obiettivo sfiorato
solo all’indomani della Marcia su Roma, con la nomina a sottosegretario in qualità di
commissario dell’aviazione militare, incarico di fatto mai esercitato.
A questo proposito desta qualche perplessità l’acritica riproposizione da parte dell’a.
di un’immagine «apolitica» del militare italiano. In realtà, l’intera vicenda ci conferma che
Douhet disponeva di canali di contatto di non poco conto con il mondo politico liberale,
come dimostra per molti versi la condanna subita dal tribunale militare nel 1916, legata a
una torbida vicenda di memoriali critici verso Cadorna fatti arrivare (anche se poi «smarriti
») a politici di primo piano affinché intervenissero a sostegno delle sue posizioni. Analogamente
l’incontro con il fascismo credo vada collocato in una prospettiva più ampia
di convergenza tra gli ambienti militari accesamente nazionalisti, di cui indubbiamente
Douhet faceva parte, e il movimento mussoliniano. Del resto, come il volume dimostra,
Douhet partecipò alle guerriglie interne e sotterranee del regime provando fino alla fine,
anche in virtù del rapporto diretto con il duce, a raggiungere i propri obiettivi, in maniera
non dissimile da molte altre personalità legate alla dittatura.

Tommaso Baris