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Guardando ad est. La politica estera italiana e i progetti di confederazione danubiana. Prima e dopo il 1947

Simona Nicolosi
Roma, Aracne, 173 pp., € 11,00

Anno di pubblicazione: 2013

Obiettivo del libro è la ricostruzione della politica italiana nello scacchiere balcanico
in un’ottica di lungo periodo, dalla lunga crisi dell’Impero asburgico, passando per
il riconoscimento dell’Ungheria con l’Ausgleich del 1867, il complessivo ridisegno dello
scacchiere europeo a seguito della prima guerra mondiale, la breve fase apparentemente
aperta intorno al 1947, il mezzo secolo comunista, per approdare alla ridefinizione degli
equilibri nell’est europeo nei decenni postcomunisti. Forse un po’ troppo per un volumetto
tascabile che, tolti gli apparati e un’intervista all’ex ministro degli Esteri Gianni De
Michelis, conta poco più di un centinaio di pagine.
In effetti tutto il libro soffre di un’evidente superficialità e stringatezza. La prima
parte è dedicata a un vago inquadramento delle peculiarità geografiche, economiche e
storiche dell’area carpatica, con un excursus secolare che approda all’800, alla nascita dello
Stato ungherese nel primo dopoguerra e a più o meno concreti piani (con)federativi per
l’Europa danubiana.
Subito dopo, al centro del racconto è posta quella che viene definita «l’occasione perduta
» del 1947, quando, secondo l’a., Italia e Ungheria intrapresero contatti diplomatici
che avrebbero potuto aprire non ben precisati squarci nella politica che andava strutturando
l’Europa in due blocchi contrapposti. Da parte ungherese si sarebbe cercato il sostegno
italiano al progetto di cooperazione o federazione tra gli Stati danubiani, senza però che il
governo italiano fosse in grado di cogliere la presunta chance per un rilancio della propria
azione internazionale. Poi, alla fine del 1947, la «saracinesca sovietica» si chiuse e con essa
ogni possibilità di svolgere un ruolo centrale nello scacchiere danubiano. Sono queste le
uniche pagine che utilizzano un certo numero di fonti d’archivio italiane e ungheresi, ma
avendo sullo sfondo il quadro generale caratterizzato dall’avvio della guerra fredda, la tesi
dell’occasione mancata capace di cambiare il corso della storia davvero appare azzardata.
Egualmente fragile la parte che chiude il volume, in cui l’a. ci racconta come, dopo
quasi un quarantennio in cui l’Italia aveva abdicato a una propria politica estera, negli
anni ’80, con Giulio Andreotti e Bettino Craxi, finalmente Roma avrebbe ripreso la
sua politica danubiana. Ciò in particolare dopo il crollo del muro di Berlino nel 1989,
che aprì all’Occidente nuove possibilità di intervento, di cui l’Italia si fece apripista con
l’accordo quadrangolare con Austria, Ungheria e Jugoslavia firmato a Budapest già nel
novembre 1989. Secondo l’a., in quel frangente «l’intuito e il tempismo di De Michelis
misero l’Italia al centro della diplomazia europea, come non succedeva dai tempi di Cavour
» (p. 123). Alla base di tale giudizio pare esservi esclusivamente l’intervista allo stesso
De Michelis che chiude il volume. Mani pulite e il crollo della prima Repubblica avrebbero
nuovamente marginalizzato Roma, indebolendo la sua Ostpolitik e più in generale il
suo ruolo internazionale.

Andrea Di Michele