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Il commissario distrettuale nel Veneto asburgico. Un funzionario dell’Impero tra mediazione politica e controllo sociale (1819-1848)

Luca Rossetto
Bologna, il Mulino, 532 pp., € 38,00

Anno di pubblicazione: 2013

L’ampia ricerca di Rossetto, che si basa largamente su fonti d’archivio non solo venete
(tanto amministrative quanto giudiziarie), ma anche, in misura minore, milanesi
e viennesi, focalizza una figura istituzionale – quella del commissario distrettuale – che
incarna paradigmaticamente gli sviluppi ottocenteschi della statualità. Nel Veneto preunitario
il commissario distrettuale è, infatti, l’occhio del governo nelle periferie; l’interprete
più immediatamente percepito, da parte di comunità che godono di uno statuto di cittadinanza
ancora per molti versi monco, delle logiche di controllo sociale caratteristiche
dello Stato post-rivoluzionario; ma anche, al tempo stesso, la figura cui è conferito il compito
di effettuare una efficace mediazione tra società (locale) e impulsi di formalizzazione
burocratica di origine centrale.
Dei commissari distrettuali in servizio in Veneto tra gli esordi della Restaurazione e
il 1848 (in un contesto di ancora moderata politicizzazione della vita collettiva) il lavoro
ricostruisce accuratamente la fisionomia, individuando al loro interno due generazioni:
quella dei «vecchi», in genere contraddistinti da una precedente esperienza nell’amministrazione
napoleonica, e i «giovani», ovvero coloro che «per lo più erano stati formati
scolasticamente e professionalmente all’interno delle strutture austriache post-1815» (p.
20). Riprendendo interpretazioni già abbastanza consolidate nella storiografia in materia
degli ultimi decenni, l’a. le arricchisce sotto il profilo documentario, facendo propria e
ulteriormente sviluppando la tesi della predominanza, nel Lombardo-Veneto della Restaurazione,
di una visione dell’autorità intonata più ai valori di un sistema di giustizia che
a quelli di un apparato esecutivo. Egli coglie, inoltre, nelle diverse modalità di comportamento
dei «vecchi» e dei «giovani» commissari il riverbero del problematico trapasso dal
dinamismo a tratti dirompente delle logiche statali napoleoniche alla studiata ricerca della
salvaguardia dell’armonia sociale tradizionale, caratteristica del modello statale asburgico
prequarantottesco.
L’impianto del lavoro è senz’altro originale. A venirne tematizzato è un certo profilo
di confine dei rapporti tra Stato e società, segnato dal contrasto tra l’irradiazione di logiche
formalizzate di matrice centralistica e la sostanziale autoreferenzialità valoriale dei contesti
locali e del mondo rurale in particolare. Preziose anche le esemplificazioni relative agli
squilibri tra le varie branche dell’apparato di stato, evidenziati in particolare dalle frizioni
tra i pretori e i commissari, derivanti dai «conflitti di competenza in materia giudiziaria e
di polizia di cui (gli uni e gli altri) risultavano titolari» (p. 252). All’equilibrio complessivo
della ricerca avrebbe però sicuramente giovato una maggiore asciuttezza. Solo in parte l’a.
è riuscito a dominare e a selezionare in modo adeguato la cospicua massa documentaria
che ha raccolto ed essa tende talvolta a strabordare al di là di una proporzione davvero
funzionale all’efficacia delle argomentazioni.

Marco Meriggi