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Il partito e il movimento. Comunisti europei alla prova del Sessantotto

Giulia Strippoli
Roma, Carocci, 190 pp., € 19,00

Anno di pubblicazione: 2013

Il partito e il movimento è un volume agile, sintetico e scorrevole che confronta le
posizioni di tre partiti comunisti dell’Europa occidentale – il Pci, il Pcf ed il Pcp – nei
confronti del movimento studentesco a cavallo del ’68.
Il tema non è certo nuovo; ciononostante, l’impostazione comparativa scelta dall’autrice
contribuisce a puntualizzare alcuni aspetti non secondari utilizzando – tra l’altro –
fonti primarie. L’immagine che emerge dal volume è ben delineata. L’a. mette in rilievo
le modalità comuni con le quali i tre partiti affrontarono i movimenti studenteschi – «la
critica verso fenomeni definiti come “radicalismo piccolo-borghese”», «la necessità di condurre
la “lotta sui due fronti”», l’intransigenza mostrata nella difesa della linea di partito,
e l’associazione tra critica e volontà di «fomentare l’anticomunismo» – mettendo tuttavia
in guardia il lettore sull’esistenza di significative differenze politico-culturali nella gestione
del dissenso interno ed esterno (p. 169). E sono proprio queste diversità ad attirare lo
sguardo dell’autrice. Riguardo al Pci, Strippoli conferma sostanzialmente l’immagine di
un partito affatto monolitico, ma quanto mai attraversato da diverse «sensibilità» e quasi
piegato dalla propria incapacità di elaborare una politica convincente nei confronti del
movimento (pp. 90-102). Artefice e vittima della propria creativa e intricata rielaborazione
del rapporto con il movimento, il Pci fu incapace di definire chiaramente una politica
di partito e un’analisi della società che risultassero convincenti (p. 171). Il partito guidato
da Waldeck Rochet, al contrario, si confermò essere il più cristallino nella gestione del
rapporto con il dissenso interno. L’a. rileva come i dirigenti francesi avessero indicato
la linea ben prima dell’esplosione del maggio 1968, escludendo i cosiddetti «italiani»
(sic!) dall’Union des étudiants communistes (pp. 103-104). Nessun dubbio scosse i francesi,
dunque, convinti – secondo quanto ricostruisce l’a. – della «correttezza dell’analisi della
situazione politica e sociale» (p. 173). Fortemente condizionata dalla situazione interna
(la dittatura, la repressione) e dai propri collegamenti internazionali (con il Pcus, ovviamente),
risultò invece la politica del Pcp. Purché generalmente positivo, l’atteggiamento
di quest’ultimo nei confronti del movimento fu condizionato, da un lato, dalla volontà di
affermare l’unità della lotta antifascista (p. 151) e, dall’altro, dallo scontato allineamento
al Cremlino circa la questione del conflitto in seno al movimento comunista internazionale
che condizionò non poco l’atteggiamento del Pcp nei confronti della componente
interna filo-cinese.
L’aspetto comparativo è certamente uno dei tratti più interessanti del volume, ma
si rivela essere un’arma a doppio taglio: non convince infatti pienamente la spiegazione –
pur approfondita e motivata (pp. 22-23) – della scelta di identificare nel Pcp (un partito
clandestino in una situazione profondamente differente rispetto agli altri due) il terzo
elemento di comparazione.

Valentine Lomellini