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“L’arcano amore della sapienza”. Il sistema scolastico del Mezzogiorno dal Decennio alle soglie dell’ Unità nazionale (1806-1861)

Alberto Tanturri
Milano, Unicopli, 352 pp., € 22,00

Anno di pubblicazione: 2013

Nato nell’ambito di una ricerca Prin 2005-2007, coordinata da Angelo Bianchi,
dedicata a una storia comparata dell’istruzione negli antichi Stati italiani, dall’età delle
riforme al 1859, il volume traccia un profilo dell’istruzione nell’Italia meridionale preunitaria
sulla base di un duplice taglio, insieme geografico e di ambiti scolastici. Non
tutto il Sud né tutta la sua scuola, ma la fascia adriatica di Abruzzi Molise e Capitanata,
e la scuola elementare soprattutto (più di metà delle pagine sono dedicate all’istruzione
primaria), le scuole agrarie, e quell’istruzione superiore fatta di collegi e licei che è l’estremo
prolungamento ottocentesco di un impianto scolastico che risale direttamente alla
Controriforma. Il quadro geografico è così giustificato: «forti elementi di coesione sotto
il profilo economico, oltre ad una comunanza di fattori sociali, culturali, antropologici
e religiosi» (p. 11). Ma tra la storia che ricostruisce e quella che presuppone non si dà
nessun legame. La scuola sembra non aver contribuito in nessun modo a dare forma a
quell’unità culturale di fondo, né sembra esserne stata plasmata. Da questo punto di vista,
la geografia della scuola meridionale appare del tutto arbitraria e casuale. Altre partizioni
sarebbero state altrettanto legittime e così la scelta di fare appello a una strutturazione culturale
antecedente dello spazio risulta tutto sommato immotivata. L’opposizione centroperiferia
è la vera chiave interpretativa che sostiene il libro. Vengono così privilegiati gli
archivi provinciali, e non i dibattiti ideologici napoletani, e si pretende di proporre una
ricostruzione della scuola meridionale dal punto di vista della lontananza dalla capitale.
Ne viene fuori un quadro non privo di interesse per la ricchezza di informazioni allegate,
ma tutto sommato prevedibile riguardo a resistenze, sordità e miseria della sfera locale. Lo
stesso rapporto centro-periferia, amputato di uno dei due termini del confronto, risulta
alla fine incomprensibile. Anche la periodizzazione appare discutibile, soprattutto in relazione
all’istruzione elementare e all’impianto (fallito) del metodo asburgico di alfabetizzazione
dei contadini. La scelta di cominciare direttamente dal decennio napoleonico lascia
infatti fuori i tentativi tardo settecenteschi di importare nell’Italia meridionale le tecniche
austriache (relegati in una nota piuttosto sbrigativa a p. 104). Si giustifica alla luce di una
lettura che privilegia il tema della modernizzazione residua negli anni della Restaurazione
borbonica, ma sottovaluta come il tentativo del centro di raggiungere lo spazio remoto
della provincia meridionale preesistendo all’epoca napoleonica alimenti una coscienza
pedagogica autoctona, soprattutto di funzionari dello Stato e di riformatori meridionali
(il caso siciliano, ad esempio, di Giovanni Agostino De Cosmi) che si prolungherà nel
decennio successivo all’Unità d’Italia e troverà in Luigi Settembrini un polemico erede e
difensore.

Adolfo Scotto di Luzio