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La fabbrica della storia. Fonti della storia e cultura di massa

Maria G. Castello, Eleonora Belligni (a cura di)
Milano, FrancoAngeli, 224 pp., € 26,00

Anno di pubblicazione: 2016

Che relazione c’è tra la disciplina storica e la sua circolazione attraverso la cultura di massa? Il volume intende rispondere a questa domanda. Già il fatto che le due curatrici, docenti di Storia romana e Storia moderna all’Università di Torino, non siano delle storiche contemporaneiste dovrebbe indurre a una riflessione sul mancato appuntamento tra storia culturale e storia contemporanea, tradizionalmente poco attenta alle connessioni con le fonti provenienti dalla cultura di massa. La «fabbrica della storia» cui si fa riferimento nel titolo è «quella che produce opere destinate a una fruizione più ampia» (p. 7): si tratta di quella cultura popolare che produce fonti troppo spesso neglette, o sovente considerate inattendibili dalla disciplina storica. Il cinema underground, la musica pop, i fumetti rappresentano, infatti, delle manifestazioni visibili attraverso cui la cultura storica di ogni epoca viene rimessa in circolazione.
Il volume, composto da sette saggi ciascuno su un caso di studio, procede nella direzione di una storia alternativa della storiografia, tesa a rintracciare l’utilità di una diversa attenzione nei confronti di fenomeni e metodologie quali la ricezione, la serializzazione, la divulgazione della storia attraverso la cultura popolare. A partire dalle intuizioni della scuola delle «Annales», i casi di studio non si limitano ad affrontare esempi di romanzo o cinema storico, ma offrono una riflessione sulle possibili fonti popolari per lo studio della circolazione della cultura storica. Particolarmente interessanti risultano i tentativi di indagare le forme con cui la storia occupa lo spazio pubblico attraverso prodotti a larga diffusione e le modalità con cui essa viene recepita dal pubblico e dalla critica ed entra a far parte degli immaginari.
Come già osservato da Michel Vovelle in Histoires figurales: des monstres médiévaux à Wonderwoman (1989), «est bien de constater que d’est en premier dans l’exploration de ce «temps plus long» de l’histoire des mentalités dans la longue durée que l’exploration du support iconographique s’est révélée précieuse» (p. 14). Sarà lo stesso storico francese a introdurre il concetto di «histoire figurale» come studio delle immagini ripetute e serializzate: quelle immagini nate in seno all’era della riproducibilità tecnica e artistica, riprodotte per decenni e giunte su supporti digitali a far parte degli immaginari contemporanei. Su questa scia, tra i casi analizzati vi è quello dei supereroi come veicolo politico nella «golden age» dei fumetti americani tra il 1938 e il 1945. Qui viene dimostrato come da strumento di propaganda politica governativa i fumetti diverranno veicolo di dissenso politico, intraprendendo un percorso seguito anche da cinema, televisione e cultura di massa.
Quella di cui si tratta è una cultura sfuggente, impossibile da ingabbiare, che si trasforma da strumento di potere a consumo popolare. Perché, come ci ha insegnato Vovelle, senza un pubblico nessuna immagine esiste, né tantomeno può influire su alcuna mentalità.

Damiano Garofalo