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Le nuove province del fascismo. Architetture per le città capoluogo – 2001

AA.VV.
Pescara, Archivio di Stato di Pescara-Italia Nostra di Pescara, pp. 309, s.i.p.

Anno di pubblicazione: 2001

Scaturito da un convegno internazionale sulla cultura architettonica del Novecento, questo libro prende in esame un aspetto della politica di pianificazione urbanistico-territoriale del fascismo che è stato, fin qui, sostanzialmente ignorato dalla storiografia. Il volume, collettaneo, analizza infatti i cambiamenti che si determinano nelle città che vengono elevate a province dal regime.
Il decreto istitutivo delle diciassette nuove province, che fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’11 gennaio 1927, comportò, innanzi tutto, un adeguamento funzionale delle città al nuovo status istituzionale. E questo concretamente significò che a Varese come a Ragusa, a Viterbo come a Pistoia, a Terni come a Pescara, le amministrazioni podestarili adottarono provvedimenti volti a dotare le città delle sedi per le nuove istituzioni. Furono così aperti i cantieri per costruire in ogni nuova città capoluogo il Palazzo del governo, che ospitava la prefettura, gli edifici scolastici, gli uffici degli organismi giuridici e militari e molte altre opere variamente destinate.
L’elevazione a provincia rappresentò poi, per le città che beneficiarono di un tale privilegio, il momento d’avvio di un processo di modernizzazione, che riguardò la rete delle infrastrutture, dei servizi e delle comunicazioni. E contemplò, infine, un ripensamento generale della forma urbis, con interventi che modificarono le piazze, le mura, i palazzi pubblici, le chiese e stravolsero assetti urbanistici secolari.
Investite da una così ?grande trasformazione?, che risultò dall’adeguamento funzionale, dall’ammodernamento e dal rimodellamento della forma urbana, le città capoluogo di nuova istituzione finirono per assumere quasi le sembianze di città nuove. Sicché è necessario domandarsi: di che segno furono le architetture delle nuove province?
A questo interrogativo, il libro in questione, utile come repertorio ma gracile sul piano interpretativo, non fornisce risposte adeguate, ma qualche dato affiora comunque. Leggendo i saggi si ha una conferma del fatto che non vi è stato durante il fascismo uno stile littorio-nazionale a cui uniformarsi ma una compresenza di stili: il monumentalismo, il tradizionalismo, il novecentismo, l’eclettismo, il razionalismo. Si capisce, altresì, che in ambito locale-regionale ci si regolava in un modo molto semplice. Si adottavano moduli stilistici che erano in qualche modo illustri e intonati all’ambiente e si impiegavano materiali edilizi del luogo. E infine si scopre che il tratto architettonico che accomuna le nuove province è costituito dal modo in cui vengono costruite le Case del Balilla, che dalla Sicilia al Lago di Como sono sempre e invariabilmente delle case moderne.

Loreto Di Nucci